Discorsi su argomenti vari

Indice

Discorso dello stesso sul Salmo 22

E sulle tre accezioni del nome di Cristo in uso nella Scrittura: sua divinità, natura umana assunta, dignità di capo della Chiesa

I tre ramoscelli di Giacobbe

1 - Come è noto a tutti i cristiani, questo salmo è una prefigurazione riguardante la persona di Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore.

Vi troviamo scritto infatti: Hanno forato le mie mani e i miei piedi; hanno contato tutte le mie ossa.

Essi mi hanno fissato e guardato; si sono divisi le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte. ( Sal 22,17-19 )

Non credo che voi ignoriate come in queste parole ci sia per la coscienza dei credenti un richiamo o una sottolineatura riguardante la persona del nostro Signore Gesù Cristo; tuttavia mi piace rammentarvelo, perché alcuni non lo sanno; altri che pur ne hanno sentito parlare, se ne sono dimenticati; mentre altri, sebbene lo ricordino, desiderano averne conferma.

Né mancano di quelli che anche sulle cose di cui sono certi desiderano ascoltare la nostra parola per la simpatia che hanno verso di noi.

Pertanto la comprensione del testo sacro che, con le forze che il Signore si degnerà di mandarmi, io cercherò d'imprimere nella vostra mente, o carissimi, sarà valida anche per comprendere i numerosi testi oscuri che troviamo nei libri sacri, cioè come in essi si parli di Cristo.

2 [1] - Per quanto abbiamo potuto ricavare dalle sacre pagine, Cristo è nominato secondo tre diverse modalità quando si parla di lui nella Legge e nei Profeti, nelle lettere degli Apostoli o nei racconti storici che conosciamo dai Vangeli.

In un modo quando si parla di lui come Dio, cioè secondo la divinità che possiede coeterna e uguale a quella del Padre prima dell'incarnazione.

In un secondo modo si parla di lui in quanto, dopo l'incarnazione, è insieme Dio e uomo, ovvero uomo e Dio: per una proprietà straordinariamente sublime che non solo esclude ogni possibile confronto con gli altri uomini ma che lo costituisce, come si legge e si ritiene, mediatore e capo della Chiesa.

In un terzo modo lo si denomina così quando lo si annunzia ai credenti e lo si presenta alla cognizione dei sapienti come ( per così dire ) un Cristo totale nella plenitudine della Chiesa, cioè il capo e il corpo, configurato sul modello di un uomo perfetto: del quale uomo perfetto noi siamo le membra. ( Ef 1,22-23; Ef 4,13 )

Non ci sarà certo possibile, nel tempo breve e limitato che abbiamo, elencare e spiegare tutte le testimonianze scritturali dove si illustrano queste tre modalità; tuttavia non le lasceremo fuori della trattazione, nel senso che, esposte alcune testimonianze, le altre - che non ci è consentito ricordare per mancanza di tempo - voi stessi potrete scorgerle e ricavarle dalla Scrittura.

3 [2] - Alla prima modalità, cioè all'intento di presentare Gesù Cristo nostro Signore e Salvatore come Figlio unigenito di Dio, ad opera del quale sono state create tutte le cose, dice riferimento quel testo elevatissimo e famosissimo del Vangelo secondo Giovanni: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.

Egli era in principio presso Dio.

Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto.

Quel che ci è stato fatto era in lui vita, e la vita era la luce degli uomini; e la luce splende fra le tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta. ( Gv 1,1-5 )

Prima che le si comprenda, queste parole suscitano ammirazione e stupore, ma dopo che le si è comprese bisogna farle proprie.

Quanto poi al comprenderle, non lo si ottiene con risorse umane, ma a farcele conoscere interviene con la sua ispirazione colui che con la stessa ispirazione si degnò di concedere a dei pescatori la luce per poterle asserire.

Scrisse infatti queste parole quel pescatore, figlio di Zebedeo, che abbandonò il padre, la barca e le reti per seguire il Signore: ( Mt 4,21-22; Mc 1,19-20 ) non rinnegò il padre terreno ma a lui preferì il Padre celeste.

E non v'è dubbio che a quest'uomo che lasciava la barca e le reti il Signore attribuì il merito di chi abbandona il mondo intero.

Il nostro Signore Gesù Cristo infatti non badava a ciò che lasciavano quei poveracci che si misero al suo seguito, cioè ai beni di cui si privavano, ma al desiderio di possederli che essi scacciavano dal cuore.

Infatti colui che possiede poco desidera possedere di più, e pertanto colui che rinunzia a quel poco che possiede rinunzia di più quando rigetta quel che avrebbe voluto possedere.

Pensiamo a quel ricco che triste si allontanò dal Signore.

Venuto per chiedere un consiglio [ di salvezza ], lo aveva chiamato Maestro buono [ e ] Dio; quando il Signore gli ebbe dato quel consiglio, egli lo abbandonò, quasi fosse un maestro cattivo. ( Mt 19,16-22; Mc 10,17-22; Lc 18,18-23 )

Mentre costui se ne andava rattristato, i discepoli pensarono che per i ricchi non ci fosse speranza di salvezza, avendo anche ascoltato essere più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei cieli. ( Mt 19,23-26; Mc 10,23-27; Lc 18,24-27 )

Quando però ebbero udito che per la misericordia di Dio anche i ricchi possono entrare nel Regno dei cieli, i discepoli continuando il discorso dissero: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: cosa ne avremo? ( Mt 19,27 )

E il Signore in risposta: Sederete sui dodici troni e giudicherete le dodici tribù d'Israele. ( Mt 19,28 )

Anche agli altri discepoli che per seguirlo avrebbero abbandonato tutti i propri averi il Signore promise un gran premio: essi avrebbero provato profondo conforto nell'ascoltare la promessa, viva gioia nel conseguimento del premio.

Egli disse che quanti per seguirlo avessero lasciato tutto quello che possedevano in questo mondo avrebbero ricevuto il centuplo in questo mondo e la vita eterna nell'altro mondo. ( Mc 10,30; Mt 19,29; Lc 18,30 )

Se volessimo esporre minuziosamente queste cose, dovremmo trattenerci a lungo e saremmo distolti dall'argomento che ci siamo proposti.

Tuttavia, per quanto riguarda il tema assunto, vogliate, carissimi, notare per ora come i primi poveri [ della Chiesa ] lasciarono effettivamente tutto, seguirono Dio e divennero apostoli.

Essi lasciarono poche cose, ma la ricompensa [ che ricevettero ] fu pari a quella di coloro che lasciano grandi patrimoni.

E notate una cosa davvero sorprendente: quel ricco ascoltando dalla bocca del Signore che per seguire Dio occorre lasciare tutto, se ne andò in preda alla tristezza ( pur avendolo ascoltato dalle labbra stesse del Signore! ( Mt 19,21-22; Mc 10,21-22; Lc 18,22-23 ) ); al presente ci sono persone che, senza aver visto direttamente il Signore, ascoltano dal Vangelo le stesse parole e fanno quanto quel tale non riuscì a fare.

In esse si avvera la parola: Beati coloro che credono senza vedere. ( Gv 20,29 )

4 - Ci si chiede perché mai il Signore abbia scelto dapprincipio persone plebee, gente povera, inesperta e priva di cultura, pur avendo dinanzi ai propri occhi una così grande moltitudine di ricchi. ( Mc 9,13 )

Paragonati allo sterminato numero dei poveri, i ricchi sono certo una minoranza, ma nella loro categoria essi sono molti, come sono anche molti i nobili, i dotti e i sapienti.

Alla loro salvezza il Signore avrebbe provveduto in seguito: non si è infatti disinteressato di loro, tant'è vero da tutti questi ceti di persone c'è stato chi è venuto alla fede.

Pertanto la scelta del Signore è un mistero e l'Apostolo lo descrive così: Dio ha scelto i deboli di questo mondo per confondere i forti; ha scelto gli ignoranti per confondere i sapienti; Dio ha scelto la gente spregevole e coloro che non esistono ( cioè coloro che passano incalcolati ) come se esistessero, per ridurre al nulla coloro che esistono. ( 1 Cor 1,27-28 )

In effetti, egli era venuto per insegnarci l'umiltà e abbattere la superbia.

Dio era venuto nell'umiltà, ed essendo venuto così umile, non poteva in alcun modo accordare la preferenza agli altolocati.

Eccolo dunque nascere da una donna sposata con un artigiano: ( Mt 1,18; Lc 1,27; Mt 13,55 ) non si scelse una nascita fastosa, perché la gente nobile di questo mondo non abbia ad inorgoglirsi.

Nemmeno per nascere si scelse una città di importanza primaria, ma nacque a Betlemme di Giudea, ( Mt 2,1; Lc 2,11 ) un paese che di città non meritava neppure il nome.

Tant'è vero che gli stessi suoi abitanti anche oggi la chiamano " villaggio ".

È infatti un paese assai piccolo e insignificante, quasi una nullità, se a dargli lustro non ci fosse stata la nascita di Cristo.

Venne dunque a noi non Uno che avrebbe attinto la sua dignità dal luogo in cui nacque, ma Uno per il quale il luogo stesso della sua nascita è diventato celebre.1

Questo vale per tutti gli altri particolari della vita del nostro Signore Gesù Cristo, che, a ricordarli minuziosamente, si richiederebbe molto tempo.

Egli dunque scelse persone deboli, povere, ignoranti e prive di titoli nobiliari; e lo fece non perché si sia disinteressato dei forti, dei ricchi, dei sapienti e dei nobili ma perché costoro non pensassero di essere stati scelti a motivo della loro dignità, della loro ricchezza e della nobiltà della loro famiglia : cose che avrebbero potuto pensare se fossero stati scelti per primi.

In questa maniera però, inorgogliti delle proprie risorse, non avrebbero accolto la salvezza, che è frutto di umiltà.

Senza l'umiltà infatti non si può in alcun modo pervenire a quella vita dalla quale non ci esclude se non la superbia.

E qui viene da pensare a un medico che cura la malattia per via di contrari.

Chi è freddo lo tratta con rimedi caldi, chi è caldo con rimedi freddi, chi è risecchito con rimedi umidi, chi è bagnato con rimedi asciutti.

Se dunque vediamo che nell'arte della medicina il malato viene guarito con rimedi contrari, non c'è da stupirsi se Dio, per guarire noi da quella malattia che è la superbia umana, abbia scelto il rimedio dell'umiltà.

Maggiore potenza salvifica dimostra il Signore quando conquista un professore servendosi di un pescatore che non quando raggiunge il pescatore mediante un professore.

Fu certamente un retore il martire Cipriano, ma prima di lui c'era stato un apostolo, che era pescatore.

In epoca più recente sono diventati cristiani gli stessi imperatori, ma questo perché prima i pescatori avevano predicato il Cristo.

È assolutamente vero che Dio ha confuso i forti scegliendosi i deboli del mondo: ( 1 Cor 1,27 ) li ha confusi, ovviamente, per risanarli; li ha abbattuti per innalzarli.

Questo ha fatto affinché si manifestassero a noi le cose che abbiamo conosciuto ai nostri tempi e sulle quali non dobbiamo tacere, e così dalle cose stesse ci appare manifesto quel dato di fede, che Dio ha scelto i deboli del mondo per confondere i forti. ( 1 Cor 1,27 )

Ai nostri giorni infatti, ecco un duce vittorioso viene a Roma, dove c'è il tempio dell'imperatore e la tomba del pescatore.

Ebbene, quel comandante in capo, divenuto credente e cristiano, per ottenere la salute dal Signore non si reca al tempio superbo dell'imperatore ma va alla tomba del pescatore.

In tal modo, imitando quell'umile pescatore, sarà guardato con benevolenza dal Signore, e da lui otterrà, ( Sal 102,18 ) almeno in parte, ciò che non avrebbe potuto meritare presentandosi come condottiero superbo.

5 - Ma perché vi ho detto queste cose?

Perché stavo richiamando alla vostra mente quel modo di presentare Cristo nella sua divinità, cioè prima dell'Incarnazione.

Questo aspetto della sua personalità riempie di meraviglia e di stupore quanti ne sentono parlare, ma è conosciuto da pochi, poiché sono pochi quelli che riescono a capirlo.

Sono coloro che bussano in modo da essere pienamente investiti dal fulgore di quella luce eterna e indescrivibile, ed essi ricordando quel che hanno conosciuto escono nelle parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio, ( Gv 1,1 ) ecc.

Per comprendere il significato di queste parole, forse voi sareste ricorsi a noi, ma avreste fatto una fatica sprecata; e noi, per evitarvela, vi abbiamo detto che potete comprenderle solo mediante l'ispirazione di Colui ad opera del quale un pescatore illetterato riuscì a pronunziarle.

Di per sé questo pescatore non era certo in grado di conoscere cose come questa: non aveva né l'ingegno né la cultura per penetrarle con l'acume della mente.

In nessun modo egli avrebbe potuto trascendere tutto il nostro mondo aereo e tutte le potenze dell'etere.

Mai avrebbe potuto raggiungere la conoscenza della natura degli astri, delle potenze e dominazioni celesti, o degli angeli o di tutte quelle creature spirituali collocate nella più sublime altezza: creature che mai caddero in peccato ma sono rimaste sempre nella visione della Verità immutabile.

Tanto meno [ questo pescatore ] avrebbe potuto trascendere il mondo dello spirito e pervenire a quella realtà che occhio non vide, orecchio non udì e non entrò nel cuore dell'uomo. ( 1 Cor 2,9 )

Come sarà infatti la parola del Padre? Come sarà il [ suo ] Verbo?

Forse che prima lo si pensa e poi risuona sulle labbra? Certo no.

Se infatti lo si è pensato prima, è trascorso del tempo; se è risuonato all'esterno, si è comunicato attraverso l'aria.

Non così è il Verbo di Dio: esso è una parola che permane fissa, una parola che sempre si proferisce e mai si sottrae; ( 1 Pt 1,25 ) anzi, non è nemmeno una parola che si proferisce, perché non si abbia a supporre in essa una qualche estensione corporea.

In che modo poi lo si possa definire, non c'è nessuno che possa dirlo con parole umane.

Con riverente pietà lo si crede Verbo generato, per cui egli, in quanto Figlio di Dio, è il solo che può parlare di sé e definire se stesso.

Al contrario, colui al quale egli rivolge la parola, se anche può capirlo, non è certo in grado di parlare di lui.

Orbene, una cosa come questa un pescatore in qual modo poté vederla se non perché il Figlio di Dio volle rivelargliela?

Quel pescatore vide tutto ciò attingendolo alla fonte da cui gli fu dato di bere.

E qual è quella fonte? Andiamo con la mente alla Cena del Signore, e forse troveremo quale sia stata la fonte da cui il pescatore bevve tutto questo.

A mensa con il Signore erano adagiati tutti i discepoli, ma del solo Giovanni è scritto nel Vangelo che era solito poggiare il capo sul petto del Signore. ( Gv 13,23.25; Gv 21,20 )

Cosa c'è quindi di strano se quanto egli diceva della divinità del Verbo lo aveva bevuto al petto del Signore?

Non poteva infatti il Padrone della mensa ( che era anche il padrone dei commensali ) permettere che quel discepolo attingesse dalla mensa quanto gli riempiva lo stomaco e dal suo petto non attingesse quanto gli riempiva la mente.

Ed effettivamente egli fece proprio così: dall'abbondanza del suo petto cibò e saziò il discepolo, e questi così saziato, cominciò a rimettere e il suo vomito è il vangelo.

Con gli occhi della fede avete visto il pescatore seduto a mensa; ascoltate ora come restituisce il cibo.

In principio era il Verbo - dice - e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. ( Gv 1,1-2 )

Sentendo parlare di verbo, tu non ci facevi caso: di parole infatti se ne sentono tante ogni giorno!

Non sottovalutare però questo Verbo, perché il Verbo era Dio. ( Gv 1,1 )

« Ma come potrò comprendere Dio e il Verbo? »

Ti doni di berlo colui che saziò il pescatore!

In attesa di ciò, ascolta quanto costui riversa su di te e credi alla parola di quest'uomo sazio [ di Dio ], affinché anche tu, salendo per i gradini della fede, possa alla fine saziarti della vivificante comprensione [ della verità ].

6 - Dirai: « E allora? Dovrò senz'altro credere che il Verbo di Dio è il Figlio di Dio ».

Sì, l'unico Figlio di Dio. Non due verbi ma un unico Verbo, anche se nella Scrittura trovi che due sono i Verbi, cioè le parole di Dio.

Esempio: i due precetti concernenti il duplice oggetto della carità, ( Mt 22,37-40; Mc 12,30-31 ) ovvero le parole della ricompensa finale, quando il Signore dirà una cosa ai fedeli posti alla sua destra ( Mt 25,34.41 ) e un'altra agli empi posti alla sinistra.

Infatti non dirà le stesse parole ai fedeli e agli empi.

Il narratore, adeguandosi alla nostre capacità e ai nostri meriti, le presenta a noi come due parole distinte; ed effettivamente, presso di noi sono distinte, ma lassù un qualcosa …

Al riguardo vorrei presentarvi, se ci riesco, un paragone preso da oggetti corporei, che però ben s'adatta all'intelligenza di persone immature.

Vorrei, se ci riesco, sottolinearvi come una e sempre uguale è la luce, del fuoco o delle stelle o della luna o del sole; eppure se la si guarda con occhi diversi ( ad esempio, uno la guarda con occhi puri e sani, un altro con occhi malati e cisposi ), essa è diversa: per l'uno è una luce gradevole, per l'altro una luce molesta e intollerabile.

Quanto all'occhio sano procurava godimento, se colpisce un occhio ferito produce dolore.

Ecco dunque: luce gradevole e luce molesta.

Che si sia divisa e diversificata? No!

La cosa dipende dalle diverse condizioni di chi la guarda.

Prestatemi attenzione, fratelli; e dalle cose piccole elevatevi alla conoscenza delle cose grandi.2

Non diversamente infatti la Parola ( = Verbo ) di Dio è una, ma nel donarsi partecipa di sé quel tanto che ciascuno merita.

Ad alcuni dice: Venite, benedetti del Padre mio; possedete il Regno che vi è stato preparato dall'origine del mondo; ( Mt 25,34 ) ad altri dice: Andate nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. ( Mt 25,41 )

Cosa c'è di più diverso che quel Venite nel Regno ( Mt 25,34 ) e quell'Andate nel fuoco eterno? ( Mt 25,41 )

È dunque molteplice la Parola [ di Dio ]? No.

Essa è unica, ma sono diversi i meriti delle persone che l'ascoltano.

Ascoltate il Profeta, che nei salmi ci dice questa stessa cosa: Dio ha parlato una volta, io ho udito queste due cose. ( Sal 62,12 )

Grosso problema, ma voi, se avete capito quel che io vi ho detto, non dovreste rimanerne turbati.

Dio ha parlato una volta, e tu hai ascoltato due cose?

Egli ha parlato una volta in rapporto al suo Verbo, che è unico; tu, allora, come hai potuto ascoltare due cose?

Continua [ il salmo ]: Poiché tua è la potenza e tua, Signore, la misericordia. ( Sal 62,12-13 )

La potenza con la quale punisci, la misericordia con cui salvi.

E ascolta anche come prosegue.

Dice: Tu infatti ripaghi ciascuno secondo le sue opere. ( Sal 62,13 )

7 - O Verbo unico, Verbo soave!

Che egli ci ispiri l'amore per lui!

Ed egli ce lo ispira mediante lo Spirito Santo.

Così infatti è la Trinità: il Padre genera, il Figlio è generato, lo Spirito spira la carità; il generante, il generato, il soffio che spira.

Ecco la Trinità: dolcissima, altissima, ineffabile, infinitamente superiore a tutte le creature da lei suscitate, rese perfette e collocate nel loro ordine.

Eppure questa Trinità, che trascende totalmente ogni cosa, vuol essere amata, desidera cuori che la amino.

Naturalmente, questo « desidera » è detto bene se lo si intende nel senso di « essa fa desiderare », come quando dello Spirito si dice che gode ( 1 Ts 1,6 ) ( in quanto esso fa godere ) e di Dio si dice: Il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se lo amate. ( Dt 13,3 )

Che significa infatti per sapere se non « per far sapere a voi »?

Or dunque, Dio nutre i cuori di coloro che lo desiderano, che lo amano con purità, che lo amano disinteressatamente, non trovando nulla che più di lui meriti d'essere amato.

Che se, viceversa, troveranno qualcosa che gli sia preferibile, prendano pure questo « qualcosa » come loro ricompensa; ma se non troveranno nulla, preghino per ottenere la ricompensa che egli dà.

Ma supponiamo che il tuo Creatore, di fronte al quale nulla c'è di più prezioso, non voglia darti se stesso come premio.

In tal caso tu dovresti gemere senza tregua, mai però pensare d'andargli a chiedere altre cose.

Se il tuo Creatore, di fronte al quale non c'è nulla di più prezioso, non volesse darti se stesso …

Ma ci sarà consentito di dire sul suo conto parole come queste?

Oh, certo che ci è consentito per il semplice fatto che noi siamo bambini, ci è consentito perché, se noi volessimo dire qualcosa di adeguato nei suoi riguardi, non dovremmo dire assolutamente niente.

Insomma, se il tuo Creatore - come prima avevo cominciato a dire - si rifiutasse di darsi a te, tu dovresti gemere per sempre, mai però andargli a chiedere qualche cosa che non sia lui.

Invece egli ti dà se stesso, e tu vai in cerca d'altro …

Egli in qualche modo ti chiede di amarlo, dal momento che tu non lo ami.

Guarda quanto sei misero, e non pensare che lo sia lui!

Ed ecco che egli va in cerca di cuori che lo amino con sincerità, cuori che con slancio di devozione sappiano trascendere l'universo creato e la sua mutabilità.

Ciò conseguiranno se saranno umili, poiché le alture sono superate [ solo ] da chi non è alto.

Se dunque tu vuoi innalzarti al di sopra di tutte le creature e pervenire a quella meta, del tutto diversa, di cui hai inteso l'annuncio dalla bocca del Pescatore, sii umile, chiedilo con sentimenti di pietà.

Quando ti sarai elevato al di sopra di ogni creatura, corporea e spirituale, giungerai alla contemplazione della Trinità, e berrai alla stessa fonte da cui bevve l'Evangelista.

Pervenuto a tal meta, potrai irridere tutti gli schernitori, che con insulse contestazioni si sollevano fumo dinanzi agli occhi per non vedere la verità.

Dopo che in un primo momento li avrai sbeffeggiati, alla fine forse ti verrà da piangere su di loro.

8 - Al presente vi basti, fratelli, quanto vi abbiamo accennato.

Per comprendere più a fondo la cosa, bussate alla porta di Lui.

Nessuno in base la suo pensiero carnale abbia a dire: « Come poteva, il Verbo, essere presso Dio ( Gv 1,1-2 ) e insieme nel seno della Vergine, da cui volle nascere?

Che forse lo stesso Verbo discese fra noi in modo che, quando venne a trovarsi nel grembo della Vergine Maria, si allontanò dal Padre?

Se non si allontanò dal Padre, come poteva essere quaggiù fra noi?

Che forse una sua metà rimase con il Padre e l'altra scese nel grembo della Madre?

O magari rimase con il Padre la parte maggiore di lui, mentre una piccola parte ( un pezzettino! ) scese nel grembo della Vergine? ».

Non permetterti di tagliare a pezzi il tuo Dio!

Cerca piuttosto di unificare in lui la discorde frammentarietà dei tuoi pensieri, e non sminuzzare Dio in base ai tuoi pensieri.

Che egli ti raccolga in unità; e non pretendere di intaccare tu la sua unità.

Dirai: « Ma come potrò comprendere tutto questo? Non ci capisco niente, non ne sono in grado.

Egli sarebbe nello stesso tempo e presso il Padre e nel grembo della Vergine.

Chi potrà mai comprendere una cosa come questa? ».

Ricorda però che quanto stai ascoltando riguarda Dio, mentre tu, abituato a pensieri carnali, ti costruisci un qualcosa che è corporeo; e quindi sei costretto a smembrarlo in parti, non riuscendo a trovarlo dappertutto nella sua totalità.

Così, se pensi alla terra: una sua parte è qui e un'altra è là fuori, nella piazza.

Non è la stessa parte.

Ma ciò accade perché si tratta della terra, cioè di un corpo; e per questo alcune sue parti sono grandi, mentre altre sono piccole.

Così se si divide l'acqua: una sua parte tocca questa spiaggia, un'altra parte tocca un'altra spiaggia.

Non è la stessa acqua quella che è qui e quella che è là; e sebbene si presenti come un tutt'uno l'acqua che si spande nei vari luoghi, tuttavia non è la stessa parte di acqua che sta ovunque, ma una parte sta qui e un'altra sta là.

Così è dell'aria e del suo espandersi: una cosa è l'aria diffusa in questa basilica, un'altra quella che è in quell'altro luogo.

L'aria è dovunque la stessa, ma di quest'aria qui ce n'è una parte, là un'altra.

Non è la stessa e identica massa di aria quella che è là e quella che è qui, né quella che è qui e quella che è là.

Così è per le zone celesti.

Ne vediamo alcune quando volgiamo lo sguardo ad oriente, altre ne vediamo quando ci giriamo ad occidente.

Non è possibile che la stessa identica zona si trovi ovunque.

Sebbene a noi sembri che il cielo, nelle sue varie zone, si trovi tutto in tutte le parti, nondimeno nella sua totalità il cielo non è dappertutto, ma una sua zona è qui e un'altra altrove.

Orbene, quando voi pensate a Dio, non pensatelo in questa maniera, cioè con categorie materiali.

O che non potete davvero pensare a cose diverse da queste?

Ecco, vi darò un esempio da cui, forse, l'argomento che trattiamo possa penetrare nella vostra mente, o carissimi, che mi ascoltate con attenzione.

9 - Tu vorresti dividere in parti il Verbo di Dio, e ti pare impossibile credere che egli sia tutto presso il Padre e tutto nel seno della Vergine Maria.

Io voglio dirti qualcosa di più, e cioè che egli è tutto intero dovunque tu voglia pensarlo, sebbene non dovunque abbia assunto l'umanità, con la quale è diventato l'unico uomo-Dio.

Non ammetto divisioni: contèntati di capire quel tanto che puoi.

Tu dunque vorresti dividere il Verbo di Dio?

Ebbene, ascolta la parola di un uomo!

Ovviamente, ti sembra impossibile che il Verbo di Dio potesse essere in Maria e presso il Padre a meno che non lo si fosse suddiviso in parti, delle quali l'una sarebbe stata qui e l'altra là.

Or ecco che voi ascoltate da noi la parola o, meglio, ascoltate da noi le parole.

Ponete attenzione al nostro parlare poiché è migliore l'esemplificazione tratta dalla parola che uno solo rivolge a voi, che siete parecchi, anziché dalle parole che scambiate tra di voi, essendo queste dello stesso genere.

Voi infatti parlate a pochi, mentre noi parliamo a molti; eppure, quello che diciamo, lo ascoltano tutti, e tutti lo ascoltano per intero.

Se per saziarvi io vi servissi un cibo materiale, voi dovreste spartirvelo tra voi, e per mangiarlo uno dovrebbe prenderne una porzione e un altro un'altra.

Pur nutrendovi tutti con lo stesso identico cibo, non tutti ne prendereste la stessa razione, ma quel tutto che era stato posto sulla tavola voi ve lo dovreste dividere in più parti secondo le vostre esigenze, e uno prenderebbe questa porzione e un altro quella.

Lo stesso cibo sarebbe nella bocca di tutti ma non sarebbe su tutte le bocche il cibo tutto intero.

Non c'è dubbio che succederebbe così.

Ora, quel che accadrebbe del cibo materiale quando lo portate alla bocca, lo stesso è delle nostre voci e delle nostre parole: sono come un cibo che noi imbandiamo ai vostri orecchi e che tutto intero vi raggiunge tutti.

O che forse, mentre io parlo, uno si appropria di una sillaba e un altro di un'altra?

O uno di una parola e un altro di un'altra?

Se fosse così, per poter giungere a tutti almeno una parola dovrei dire tante parole quante sono le persone che mi vedo dinanzi.

Invece la cosa è facilitata: io proferisco più parole di quante non siano le persone presenti, e tutto il mio dire arriva a tutti.

Ora io dico: una parola umana per arrivare a tutti gli uditori non ha bisogno di essere divisa in sillabe, e il Verbo di Dio perché sia dappertutto lo si dovrà tagliuzzare in pezzetti?

Ma che davvero, fratelli, oseremo mettere sullo stesso piano le nostre parole, che risuonano e svaniscono, e quel Verbo che rimane eternamente immutabile?

O che io, dicendovi quel che vi ho detto, ho inteso fare un simile avvicinamento?

Tutt'altro! Io ho voluto soltanto richiamare in qualche modo alla vostra attenzione alcune cose per le quali Dio stesso, attraverso realtà corporali, possa elevarvi a credere in quelle realtà spirituali che ancora non vedete.

E ora passiamo a cose più elevate di quanto non lo siano le nostre parole, le quali risuonano e svaniscono.

Pensa alle cose spirituali, pensa alla giustizia!

Ecco, alla giustizia rivolge il pensiero un uomo che sta dalle nostre parti, in occidente, e la pensa anche un uomo che sta in oriente.

Come è possibile che l'uno e l'altro pensino a tutta intera la giustizia?

Come è possibile che la veda tutta intera l'uno e tutta intera l'altro?

Vive infatti da giusto colui che vede la giustizia e si comporta in conformità con essa; la vede dentro, e fuori ne compie le opere.

Ma come fa a vederla nel suo intimo se dinanzi a lui non c'è niente da vedere?

Se al contrario essa gli è dinanzi, siccome costui si trova in una parte del mondo, forse che a vederla laggiù non potrà giungere il pensiero dell'altro?

In effetti tu, che stai qui, con la mente vedi la stessa cosa che vede quell'altro, lontano da te le mille miglia: la stessa verità brilla tutta intera agli occhi tuoi e a quelli dell'altro.

Vedi dunque che le cose divine e incorporee sono tutte intere ovunque, e credi che il Verbo era tutto intero presso il Padre e tutto intero nel grembo di Maria.

Lo credi infatti di colui che è il Verbo di Dio, il quale è Dio presso Dio.

10 [3] - Ascolta ora un'altra descrizione, un altro modo di presentare Cristo, quando di lui parla la Scrittura.

Quanto detto fin qui lo diceva di lui prima che si incarnasse.

Di questo secondo modo come ne parla?

Dice: Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezza a noi. ( Gv 1,14 )

Prima aveva detto: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.

Egli era in principio presso Dio.

Tutte le cose sono state create per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato creato. ( Gv 1,1-3 )

Se non avesse parlato dell'umanità assunta dal Verbo, sarebbe stato inutile quanto a noi detto della sua divinità.

È infatti perché io possa vederlo che Dio interviene così; è perché io sia purificato, e in tal modo riesca a fissare su di lui lo sguardo, che Dio stesso viene in aiuto alla mia debolezza.

Egli si fa uomo prendendo la natura umana dalla nostra stessa umanità, e sedendo sul somarello del nostro corpo viene da colui che giaceva ferito ai margini della strada. ( Lc 10,30.33-34 )

In questa maniera, cioè con il sacramento della sua incarnazione, egli conferma e nutre la nostra poca fede, e rischiara la nostra mente affinché, attraverso l'umanità che egli assunse, giunga a vedere la divinità, che egli mai depose.

Egli infatti cominciò ad esistere come uomo, ma come Dio mai cessò di esistere.

Quando dunque Giovanni dice che il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora in mezzo a noi, ( Gv 1,14 ) lo dice del nostro Signore Gesù Cristo in quanto è nostro mediatore, in quanto è capo della Chiesa.

Così infatti egli è Dio e uomo, uomo e Dio.

11 [4] - Udite ora come questa duplice realtà sia presentata in quel notissimo testo dell'apostolo Paolo.

Egli dice: Esistendo nella natura divina non considerò usurpazione l'essere uguale a Dio. ( Fil 2,6 )

È quanto dice Giovanni: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. ( Gv 1,1 )

Come avrebbe potuto affermare l'Apostolo che egli non considerò usurpazione l'essere uguale a Dio ( Fil 2,6 ) se non fosse stato per davvero uguale a Dio?

Ma se il Padre è Dio mentre il Verbo non lo è, come può il Verbo essergli uguale?

Quanto dunque dice Giovanni, che cioè il Verbo era Dio, ( Gv 1,1 ) dice anche Paolo con le parole: Non considerò una usurpazione l'essere uguale a Dio. ( Fil 2,6 )

E dove l'uno dice: Il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora in mezzo a noi, ( Gv 1,14 ) l'altro concorda: Ma svuotò se stesso prendendo la forma dello schiavo. ( Fil 2,7 )

Badate bene! Per il fatto che si è incarnato, per il fatto che il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora in mezza a noi, ( Gv 1,14 ) per questo egli svuotò se stesso prendendo la forma dello schiavo. ( Fil 2,7 )

Cos'è mai questo svuotarsi? Senza perdere la divinità si rivestì dell'umanità, e così apparve agli occhi degli uomini come non era prima che diventasse uomo.

Apparendo in questa forma, egli svuotò se stesso, cioè, pur conservando la gloria della divinità, presentò [ a noi ] il rivestimento di carne della sua umanità.

Egli dunque prese la forma dello schiavo, ( Fil 2,7 ) e con questo svuotò se stesso.

Quanto alla forma divina, egli non la prese in un determinato tempo, e difatti Paolo, parlando della forma divina, non dice: « La prese » ma: Esistendo nella forma divina.

Quando invece giunge a parlare della forma dello schiavo dice: Prendendo la forma dello schiavo.

In tal modo egli è nostro mediatore e capo della Chiesa, ( Ef 5,23 ) colui ad opera del quale siamo riconciliati con Dio: ( Rm 5,10 ) cosa che otteniamo per il mistero della sua umiliazione, cioè della sua passione, e poi per la sua resurrezione, ascensione e il giudizio futuro.

In questo giudizio si udranno due parole, pur avendo Dio parlato una volta sola. ( Sal 62,12 )

Quando si udranno le due parole?

Quando egli renderà a ciascuno secondo le sue opere. ( Sal 62,13; Mt 16,27; Rm 2,6 )

12 [5] - Ritenendo questa verità, non stupitevi se c'è della gente che solleva questioni e difficoltà, le quali, al dire dell'Apostolo, serpeggiano come cancrena. ( 2 Tm 2,17 )

Mettete un riparo alla vostre orecchie e conservate la verginità della vostra mente, come si addice a persone che l'amico dello sposo ha fidanzato con un solo uomo per essere presentate a Cristo come vergine casta. ( 2 Cor 11,2; Gv 3,29 )

In effetti, se la verginità del corpo è prerogativa di pochi nella Chiesa, la verginità della mente dev'essere conservata da tutti.

Ora è questa verginità che il serpente vuol contaminare, secondo quello che scrive l'Apostolo: Io vi ho fidanzati a un solo uomo, per presentarvi a Cristo come vergine casta.

Temo però che come il serpente sedusse Eva con la sua astuzia, così i vostri sensi si depravino perdendo la castità che è in Cristo. ( 2 Cor 11,2-3 )

Parla di vostri sensi intendendo « le vostre menti ».

La parola « menti » è più appropriata poiché col nome di « sensi » si intendono anche i sensi del corpo: la vista, l'udito, l'odorato, il gusto e il tatto, mentre l'Apostolo temeva che si guastassero le menti, dove risiede l'integrità della fede.

Ebbene, o anima, conserva ora la tua verginità, che in seguito diverrà feconda per l'amplesso del tuo Sposo.

Collocate una siepe di spini ( sono parole della Scrittura! ( Sir 27,28 ) ) dinanzi ai vostri orecchi!

Gli attacchi degli ariani hanno turbato, è vero, alcuni fratelli deboli nella fede, ma per la misericordia del Signore la fede cattolica ha sbaragliato gli eretici.

Il Verbo infatti non ha abbandonato la sua Chiesa, anche se ha permesso che fosse turbata per ricordarle che sempre deve supplicare Colui che le dona stabilità sulla solida pietra.

Ma il serpente continua a brontolare e non si rassegna a tacere.

Promettendo una non so quale scienza, cerca di scacciare dal paradiso della Chiesa coloro che non vorrebbe far rientrare in quel paradiso dal quale l'uomo fu espulso alle origini del mondo. ( Gen 3,5 )

13 [6] - Statemi attenti, miei fratelli!

Quel che accade nel paradiso accade ora nella Chiesa.

Nessuno vi inganni allontanandovi dall'attuale paradiso: ci basti l'essere stati cacciati via quella volta, e, fatta quella triste esperienza, ravvediamoci!

È sempre lo stesso serpente che ci spinge all'empietà.

Egli ci assicura l'impunità, come la promise quella volta dicendo: Non morirete in alcun modo, ( Gen 3,4 ) nonostante che Dio avesse detto: Morirete sicuramente. ( Gen 2,17 )

Perché i cristiani di oggi vivano nel peccato, egli insinua più o meno la stessa cosa e dice: « Possibile che Dio condanni alla perdizione tutti gli uomini? »

In realtà Dio dice: « I peccatori io li condannerò; perdonerò soltanto quelli che cambieranno vita.

Càmbino pure vita e io ritirerò i castighi che ho minacciati ».

Or ecco avvicinarsi il serpente: mormorando e contestando dice: « Ma via! La Scrittura afferma: Il Padre è più grande di me, ( Gv 14,28 ) e tu osi dire che egli è uguale al Padre »!

Accetto le cose che dici, e le accetto tutt'e due, poiché tutt'e due trovo nella Scrittura.

Perché tu ne accetti una soltanto, e ti rifiuti di accettare l'altra, pur avendole lette tutt'e due, come faccio io?

Sì, il Padre è più grande di me.

Io lo ammetto, prendendolo non da te ma dal Vangelo; ma tu ammetti che egli è uguale a Dio prendendolo dall'Apostolo. ( Fil 2,6 )

Metti insieme le due verità: esse debbono senz'altro combaciare, poiché colui che ha parlato nel Vangelo per bocca di Giovanni ha parlato per bocca di Paolo nella sua lettera.

Non può, lo stesso autore, essere in disaccordo con se stesso; ma tu, smanioso come sei d'attacar brighe, non vuoi capire l'armonia della Scrittura e dici: « Ma io lo dimostro dal Vangelo: Il Padre è più grande di me ( Gv 14,28 ) ».

Ti replico: « Anch'io dal Vangelo ti cito le parole: Io e il Padre siamo una cosa sola ( Gv 10,30 ) ».

« Ma come possono essere vere le due parole? ».

« Non ricordi cosa c'insegna l'Apostolo? Ascolta!

Io e il Padre siamo una cosa sola è lo stesso che Egli esistendo nella natura divina non considerò una usurpazione l'essere uguale a Dio. ( Fil 2,6 )

Ascolta ancora! Il Padre è più grande di me ( Gv 14,28 ) corrisponde a Egli svuotò se stesso prendendo la natura dello schiavo. ( Fil 2,7 )

Ecco, io ti ho mostrato in che senso il Padre è maggiore; tu mostrami come il Verbo è uguale al Padre, poiché nella Scrittura leggiamo tutt'e due le cose.

Or dunque, egli è minore del Padre in quanto è Figlio dell'uomo, è uguale al Padre in quanto è Figlio di Dio, poiché il Verbo era Dio. ( Gv 1,1 )

Il [ nostro ] Mediatore è Dio e uomo: ( 1 Tm 2,5 ) Dio uguale al Padre, uomo minore del Padre.

Certo, egli è uguale e minore: uguale nella natura divina, minore nella forma dello schiavo. ( Fil 2,6-7 )

Ma tu, [ ariano ], come puoi ritenerlo uguale?

O che per caso sia uguale per una sua parte e minore per un'altra?

In effetti, se escludi l'incarnazione, non hai alcun modo di mostrarmelo uguale e minore.

Voglio vedere come riuscirai a mostrarmelo.

14 [7] - Quanto a voi, notate come la stolta loro empietà sia a livello carnale, conforme alla parola della Scrittura: La sapienza della carne conduce alla morte. ( Rm 8,6 )

Io, da parte mia, voglio ancora essere neutrale e per il momento non parlo dell'incarnazione di nostro Signore, unico Figlio di Dio.

Supponendo non ancora accaduto quello che invece è accaduto, mi metto a considerare insieme con te le parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. ( Gv 1,1 )

Insieme con te considero anche le altre: Egli, pur essendo di natura divina, non considerò una usurpazione l'essere uguale a Dio. ( Fil 2,6 )

Mostrami dove, secondo questi testi, egli sia minore.

Che dirai? Comincerai a smembrare Dio in base a delle [ sue ] qualità, cioè in base a note corporali o fisiche per le quali qui lo penseremmo diverso da come lo pensiamo là?

Parlando in modo materiale, potrei esprimermi anche così, ma se le cose stiano così perché voi così le concepiate, lo vedrà Dio.

Pertanto, come già avevo cominciato a dire, vieni pure tu, [ eretico ], a mostrarmi come prima dell'incarnazione, prima cioè che il Verbo si facesse uomo e dimorasse in mezzo a noi, ( Gv 1,14 ) ci sia stato un minore e un uguale.

Forse che Dio è questa cosa e quest'altra, per cui il Figlio da un lato è minore del Padre e da un altro gli è uguale?

Potremo per caso dire che [ Padre e Figlio ] sono una specie di corpi ed è per questo che tu mi vieni a dire: « [ Il Figlio ] è uguale in lunghezza ma minore quanto a forza »?

Spesso infatti ci si presentano due corpi che sono fra loro uguali per la dimensione della lunghezza, mentre per la forza uno ne ha di meno e un altro di più.

Li immagineremo dunque in questa maniera?

Penseremo che Dio Padre e il suo Figlio siano corpi?

Dio allontani pensieri di questo genere dal cuore dei cristiani!

Il Verbo era tutto intero presso il Padre, tutto intero nella carne, tutto intero al di sopra degli angeli.

Ma tu la penserai diversamente e oserai dire: « Sì, sono uguali quanto a forza e ad estensione, ma solo disuguali per il colore ».

Ma dov'è il colore se non nei corpi?

Lassù invece c'è solo luce di sapienza.

Mostrami il colore della sapienza, il colore della giustizia!

Se queste realtà non hanno colore, oserai parlare di colori che si troverebbero in Dio?

Ammesso che tu stesso sia in grado di colorarti di rossore!

15 [8] - Cosa dunque verrai a raccontarmi?

Che il Padre e il Figlio sono uguali nella potenza ma il Figlio è inferiore nella sapienza?

Ma Dio sarebbe ingiusto se a uno che ha meno sapienza desse un'uguale potenza.

Se sono uguali nella sapienza ma il Figlio ha meno potenza, Dio sarebbe invidioso, poiché a uno che gli è uguale in sapienza ha conferito un potere più limitato.

Ma in Dio, tutto ciò che si predica di lui è sempre e in tutto la stessa realtà.

In lui infatti la potenza non differisce dalla sapienza, né la fortezza dalla giustizia o dalla castità.

Parlando di Dio, qualsiasi prerogativa gli attribuisci, non devi intenderla come diversa dalle altre; anzi, nessuna di esse è adeguata [ alla sua natura ] poiché tutte sono proprietà dell'anima umana: quell'anima che la luce di Dio inonda, per dir così, e riveste delle caratteristiche proprie di ciascuna.

È come quando sui corpi si leva la nostra luce visibile.

Se viene a mancare, tutti i corpi hanno lo stesso colore o, meglio, non hanno alcun colore; se invece la si reca in un luogo, essa illumina i corpi e, pur essendo sempre identica in se stessa, conferisce ai vari corpi una lucentezza diversa, secondo le proprietà di ciascuno.

Ciò vale anche per le virtù sopra ricordate: le quali sono proprietà dell'anima rischiarata da quella luce che nessuno rischiara e modellata da quella luce a cui nessuno dà forma.

16 [9] - Eppure noi diciamo queste cose, fratelli, in riferimento a Dio, non trovando nulla di meglio da dire nei suoi riguardi.

Ecco, io dico che Dio è giusto perché, tra le parole umane, non ne trovo un'altra migliore; in realtà però egli è al di sopra della giustizia.

È vero che nelle Scritture si dice: Il Signore è giusto e ama la giustizia, ( Sal 11,7 ) ma a un certo punto vi si dice anche che Dio si pente, che Dio non sa questo o quello. ( Gen 6,6-7; Gen 18,21; 1 Sam 15,11; Sal 110,4; Sal 132,11 )

Chi non rimarrà esterrefatto?

Un Dio che non sa, un Dio che si pente! Ebbene, se la Scrittura si abbassa fino ad usare parole dinanzi alle quali tu resti sconvolto, lo fa con un intento salutare, e cioè perché tu, ascoltando parole di esaltazione, non creda che siano adeguate alla sua grandezza.

Fa' conto che tu voglia pensare, nei riguardi di Dio, che egli si penta di qualcosa come succede all'uomo nel suo umano sentire.

Qualsiasi altro, che comprende le cose di Dio meglio di te, verrebbe sicuramente a rimproverarti, spiegandoti insieme che, se nelle Scritture trovi affermazioni di questo genere, non sono dette per indicare che in Dio si trovano passioni come quelle che provi tu quando con il cuore addolorato disapprovi i tuoi propositi e le tue azioni. ( 1 Sam 15,29 )

Quando gli uomini fanno cose come queste, si dice che lo fanno pentiti, qualora recedono dal proposito precedente; quanto a Dio invece, siccome i suoi decreti sono stabili in eterno, ( Sal 33,11 ) se si dice che si pente, lo si dice figuratamente, per indicare che egli agisce in maniera diversa da quella che gli uomini si sarebbero attesi.

Identica risposta se tu volessi chiedere: « Ma insomma cosa potrò dire che convenga a Dio? ».

Qualcuno forse ti risponderà dicendo che egli è giusto, mentre un altro, comprendendo la cosa a più a fondo, ti dirà che anche questa denominazione rimane al di sotto della sua infinita elevatezza: lo si predica di lui in maniera inadeguata, che peraltro non è sconveniente se si tiene conto della capacità nostra umana.

Ma quell'interlocutore, per dimostrare la sua affermazione, ricorrerà alla Scrittura, dove si legge che il Signore è giusto. ( Sal 11,7 )

Gli si risponde, e con ragione, che nella stessa Scrittura, di Dio si dice che si pente.

E come questo pentirsi non lo si prende nel senso consueto del parlare umano, ( Gen 6,6-7 ) cioè come si pentono gli uomini, così quando si dice che Dio è giusto, devi intenderlo come non rispondente appieno alla sua infinita maestà; e se la Scrittura usa questa espressione ( e fa bene ad usarla ), è perché la nostra mente attraverso parole, sia pur approssimative, sia gradatamente condotta alla comprensione di ciò che è ineffabile.

Parlando dunque di Dio, di' pure che è giusto, ma intendi un qualcosa che oltrepassa la giustizia che di solito attribuisci all'uomo.

Quanto poi alla Scrittura, se vi si dice che Dio è giusto, ricorda anche che di lui si dice che si pente e che non sa: ( Sal 11,7; Gen 6,6-7; Gen 18,21 ) cose che tu mai ti permetteresti di dire.

Ebbene, come ritieni che queste affermazioni che ti fanno inorridire sono state scritte in vista della tua limitatezza, così ritieni che anche le altre, quelle che tu ammiri per la loro sublimità, sono state scritte in vista della limitatezza che in qualche misura permane anche negli uomini più progrediti.

Che se poi qualcuno riuscirà a trascendere questi limiti e a farsi di Dio dei concetti adeguati ( per quanto è dato all'uomo mortale! ), cerchi di trovare quel silenzio che merita d'essere lodato con la voce inesprimibile del cuore.

17 [10] - In conclusione, fratelli, in Dio la potenza è lo stesso che la giustizia; e così qualunque cosa vorrai affermare di lui, è sempre la stessa cosa, che tu però in nessun modo riuscirai ad esprimere adeguatamente.

Pertanto non ti sarà lecito dire che il Figlio è uguale al Padre per la giustizia mentre non è uguale per la potenza, o che egli è uguale per la potenza ma non per la scienza, poiché chi è uguale per una prerogativa, qualunque essa sia, è uguale in tutte le altre, in quanto tutti gli attributi che predichi di Dio sono in lui un'unica realtà e si equivalgono.

Questo è sufficiente perché tu capisca che non puoi asserire in che modo il Figlio sia uguale al Padre senza introdurre delle differenziazioni nella stessa sostanza divina; ma se tu ve le introdurrai, la verità stessa ti caccerà fuori casa e non ti sarà concesso d'entrare in quel santuario dov'ella splende di fulgidissima luce. ( Sal 73,17 )

Non essendo dunque Dio divisibile in parti, mai ti sarà lecito dire che il Figlio per una parte è uguale al Padre mentre per un'altra gli è disuguale.

Non essendo in Dio le qualità, mai ti sarà lecito dire che per una qualità gli è uguale, ma per un'altra inferiore.

Nell'ambito della divinità non puoi affermare che il Figlio è uguale al Padre se non lo intendi uguale sotto ogni aspetto.

Ma, allora, come farai a dirlo inferiore se non riferendoti alla forma dello schiavo che egli ha assunta? ( Fil 2,7 )

Sì, fratelli, abbiate sempre in mente questa avvertenza: se attingerete dalle Scritture la norma da seguire, la luce stessa [ della verità ] vi mostrerà con chiarezza tutte le cose.

E quindi, se troverete che del Figlio si dice che è uguale al Padre, prendete le parole come riferite alla natura divina; se altrove si dice che è minore, ritenete che è minore per la natura dello schiavo da lui assunta.

Conforme a quanto è detto in un luogo: Io sono colui che sono, ( Es 3,14 ) e in un altro: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe, ( Es 3,6-15; Mt 22,32; Mc 12,26 ) ritenete dunque e quello che egli è nella sua natura [ divina ] e quello che è diventato nella sua misericordia.

18 - Non vi sorprenda dunque il fatto che secondo questa diversa accezione siano state dette dal Signore le parole riportate nel Vangelo e quelle del salmo che or ora abbiamo cantato.

Lasciate che ve le spieghiamo e inculchiamo con una testimonianza ancora più esplicita.

Nel Vangelo si dice: Dal Padre mio e Padre vostro, dal Dio mio e Dio vostro.

Non vi turbino le parole: Dal Padre mio e Padre vostro. ( Gv 20,17 )

Nei riguardi del Figlio, il Padre è sempre padre: non essendoci interruzione nel generare il Figlio, non c'è momento in cui il Padre non è padre.

Quanto a noi, il Padre ci è padre in maniera diversa, cioè per la misericordia dell'adozione.

Il Verbo è generato, noi siamo stati adottati.

Dio lo ha generato prima del lucifero ( Sal 110,3 ): che voi non dovete prendere come una stella ma, se lo si chiama lucifero, date alla parola un senso traslato e intendetela di « uno che reca la luce ».

Non che sia egli stesso la luce ma, essendo illuminato dalla luce, può illuminare.

In questo senso anche di quell'arcangelo che non rimase nella verità ( Gv 8,44 ) è stato detto che sorgeva come il lucifero, ( Is 14,12 ) ma non rimase nella luce.

Allo stesso modo di ogni anima che viene illuminata, per potere a sua volta illuminare, si dice che è un « lucifero » ( = portatore di luce ); mentre se si sottrae alla luce che la illumina, diviene tenebra.

Ecco perché l'evangelista Giovanni, parlando di nostro Signore, dice: Egli era la luce vera; e come se qualcuno gli chiedesse: « Ma cos'è questa luce vera »?, risponde: Quella che illumina ogni uomo. ( Gv 1,9 )

Dunque non una luce che viene illuminata, ma luce che illumina.

Di Giovanni Battista al contrario si dice che egli non era la luce. ( Gv 1,8 )

Ma quale luce non era Giovanni?

Quella che illumina ( Gv 1,9 ) senza essere illuminata.

Era infatti, Giovanni, una luce che veniva illuminata da colui dalla cui pienezza egli aveva attinto ( Gv 1,16 ); e per questo il Signore, parlando di lui, diceva: E voi avete voluto esultare per un po' di tempo alla sua luce. ( Gv 5,35 )

Non diversamente diceva ai suoi discepoli: Voi siete la luce del mondo. ( Mt 5,14 )

Erano luce del mondo perché erano stati illuminati; ma una cosa è la luce vera che illumina ogni uomo, ( Gv 1,9 ) un'altra cosa la luce creata che dalla prima riceve l'illuminazione.

Ebbene, luce vera che illumina è il nostro Signore Gesù Cristo; luce creata che dall'altra riceve illuminazione sono Giovanni, gli apostoli, tutte le anime sante e i beatissimi spiriti celesti che diventano « portatori di luce », attingendo la luce da altri.

Pertanto l'espressione: Prima del lucifero io ti ho generato ( Sal 110,3 ) equivale a: « Prima di ogni creatura »; e « Prima di ogni creatura » deve intendersi di tutte le creature, anche quelle più elevate, cioè quelle spirituali e intellettuali, che diffondono luce perché sono state illuminate.

Concludendo dunque, fratelli, riteniamo che nel nostro Signore Gesù Cristo sono vere tutt'e due le cose: che egli per la sua divinità è uguale al Padre, mentre è minore del Padre per essersi fatto uomo.

E - come avevo cominciato a dirvi - non scandalizziamoci se egli parla di Padre mio e Padre vostro. ( Gv 20,17 )

Dio infatti da sempre è Padre del suo Figlio unigenito, che è nato da lui da sempre e quindi prima del lucifero, cioè prima di ogni creatura che diventa luce perché illuminata.

Ma tutta l'espressione: Padre mio e Padre vostro è vera, poiché ad opera del Figlio anche noi abbiamo ricevuto il dono d'essere figli di Dio.

Egli ci ha dato il potere di diventare figli di Dio. ( Gv 1,12 )

È questa l'adozione a voi, carissimi, ben nota, di cui parla l'Apostolo quando dice che noi aspettiamo l'adozione, cioè la redenzione del nostro corpo, ( Rm 8,23 ) e ancora: Dio ha mandato il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per redimere coloro che erano sotto la legge e noi ottenessimo l'adozione a figli. ( Gal 4,4-5 )

Molto appropriatamente dunque [ il Signore ] prima parlò di Padre mio, come di Padre esclusivamente suo, e poi di Padre vostro.

Ma come può dire Dio mio e Dio vostro? ( Gv 20,17 )

Se al riguardo tenete presente la regola [ della fede ], cosa avete da aspettarvi da me?

« Egli è Padre mio da sempre, Dio mio da quando mi sono fatto uomo ».

Ascolta il salmo che è stato letto: Su di te io sono stato riposto fin dal grembo materno; dal seno di mia madre tu sei il mio Dio. ( Sal 22,11 )

Penso che sia stato detto abbastanza anche riguardo al modo, secondo il quale il nostro Signore Gesù Cristo, nostro Salvatore, Capo della Chiesa e nostro Mediatore ad opera del quale otteniamo la riconciliazione con Dio, ( Ef 5,23; Rm 5,10 ) viene presentato dalle Scritture come Dio e come uomo.

19 [11] - La terza accezione [ del nome di Cristo ] si ha quando si parla del Cristo totale considerata anche la Chiesa, quando cioè si parla del capo e del corpo.

Infatti il capo e il corpo sono l'unico Cristo: il che non vuol dire che Cristo capo senza il corpo è una persona incompleta ma che egli si è degnato di essere una realtà completa anche insieme con noi, lui che anche senza di noi è completo dall'eternità.

Egli è certamente completo come Verbo, Figlio unigenito uguale al Padre, ma lo è anche insieme con l'umanità che ha assunta e con la quale è Dio e uomo.

In effetti, fratelli, come potremmo noi essere il corpo di Cristo se egli non fosse, insieme con noi, un unico Cristo?

Ma troveremo noi [ nella Scrittura ] passi in cui si insegna che l'unico Cristo è capo e corpo, cioè un corpo unito al suo capo, una sposa unita al suo sposo?

Eccolo in Isaia. Ivi parla un singolo individuo: parla sempre la stessa identica persona, ma osservate cosa dice: Come uno sposo egli mi ha fasciato con il turbante e come una sposa mi ha coperto di monili. ( Is 61,10 )

Parla di una sola persona e la dice sposo e sposa: sposo, riferendosi al capo; sposa, riferendosi al corpo.

Sembrerebbero due; in realtà sono uno solo.

Se fosse diversamente, come potremmo noi essere membra di Cristo, secondo l'esplicita affermazione dell'Apostolo: Voi siete il corpo di Cristo e le sue membra? ( 1 Cor 12,27 )

Se siamo membra di Cristo, siamo anche suo corpo, e lo siamo tutti insieme.

Non solo quanti siamo presenti in questo luogo ma anche quanti sono sparsi per tutta la terra; né soltanto quanti viviamo nel nostro tempo ma ( cosa dirò? ) quanti da Abele, il giusto, ( Mt 23,35 ) vivranno sino alla fine del mondo, quando gli uomini cesseranno di generare e di essere generati.

Tutti i giusti che hanno attraversato il mare di questa vita, coloro che vi si trovano al presente ( non mi riferisco a luoghi ma alla vita! ), coloro che nasceranno in avvenire, tutti insieme si forma l'unico corpo di Cristo, e ciascuno ne è un membro. ( Rm 12,5 )

Se dunque tutti insieme noi formiamo un corpo del quale ciascuno è un membro, dev'esserci ovviamente un capo a cui appartenga questo corpo.

Lo dice l'Apostolo: Egli è il capo del corpo che è la Chiesa, egli che è il primogenito e detiene la supremazia ( Col 1,18 ) [ in tutte le cose ].

E siccome del medesimo Cristo dice ancora [ Paolo ] che è capo di tutte le dominazioni e le potenze, ( Col 2,10 ) ecco che la nostra Chiesa, adesso pellegrina sulla terra, viene a congiungersi con la Chiesa celeste, dove saremo concittadini degli angeli.

Quella di divenire, dopo la resurrezione del corpo, uguali agli angeli, sarebbe stata una spudorata ambizione se la verità in persona non ce lo avesse assicurato : Saranno uguali agli angeli di Dio. ( Lc 20,36 )

Si avrà in tal modo un'unica Chiesa, la città del grande Re, ( Sal 48,3; Mt 5,35 ) alla quale volle appartenere anche il Figlio, prendendo un corpo da coloro che erano estranei e pellegrini.

Egli si fece loro re, e li rese fecondi [ nella giustizia ], richiamando chi se ne era allontanato.

Prefigurazione di questo mistero è quella Sion di cui sta scritto: Madre Sion, dirà l'uomo; egli si è fatto uomo in essa ed egli, l'Altissimo, ne ha posto le fondamenta. ( Sal 87,5 )

E cioè: quello stesso che si è fatto uomo in essa, diventando umilissimo fra tutti, è lo stesso che, essendo l'Altissimo, ne ha posto le fondamenta.

Infatti tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto. ( Gv 1,3 )

Orbene, un corpo mutilato, a cui cioè manchi il capo, non può dirsi completo.

Perché lo si ammiri, un capo dev'essere unito al corpo.

Così è di Cristo: egli è una unità insieme con il corpo, che egli assunse per condiscendenza, non per necessità.

Siamo infatti noi ad avere bisogno dei beni di Dio; Dio non ha bisogno dei beni nostri.

Ascoltatelo dal profeta: Ho detto al Signore: Tu sei il mio Dio poiché non hai bisogno dei miei beni. ( Sal 16,2 )

20 [12] - Nelle Scritture dunque Cristo a volte è presentato in modo che lo si ritenga come il Verbo uguale al Padre, altre volte invece devi intenderlo come uomo-mediatore.

Così quando di lui si dice che il Verbo si è fatto carne per abitare in mezzo a noi, ( Gv 1,14 ) o quando del Figlio unigenito ad opera del quale sono state fatte tutte le cose, ( Gv 1,3 ) si dice che non ritenne una usurpazione l'essere uguale a Dio ma svuotò se stesso prendendo la forma dello schiavo [ e ] divenendo obbediente fino alla morte di croce. ( Fil 2,6-8 )

Altre volte invece te lo presenta in modo che tu intenda Cristo capo e corpo, come quando l'Apostolo espone in maniera lucidissima le parole della Genesi, riguardanti il marito e la moglie: I due saranno una sola carne. ( Ef 5,31; Gen 2,24 )

Badate bene alla spiegazione che egli ne dà, perché non pensiate che noi osiamo insegnarvi qualcosa in base a nostre supposizioni.

Riportate le parole: I due saranno una sola carne, egli aggiunge: È questo un grande mistero; ( Ef 5,31-32 ) e perché nessuno pensasse che egli stesse ancora parlando di marito e di moglie nell'unione naturale dei due sessi, cioè del consueto rapporto matrimoniale, aggiunge: Questo io dico in riferimento a Cristo ed alla Chiesa. ( Ef 5,32 )

Come riferite a Cristo e alla Chiesa debbono dunque intendersi le parole: I due saranno una sola carne, sicché non sono più due ma una sola carne. ( Mt 19,5-6 )

Ora come lo sposo suppone la sposa, così il capo suppone il corpo, poiché capo della donna è l'uomo. ( 1 Cor 11,3; Ef 5,23 )

Sia dunque che io vi parli di capo e di corpo, sia che vi parli di sposo e di sposa, voi intendetemi nel senso di unità.

Che se l'apostolo Paolo, in quel tempo ancora Saulo, si sentì dire: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? ( At 9,4 ) il motivo fu l'unione esistente tra il capo e il corpo.

Quando più tardi Paolo, diventato annunziatore di Cristo, stava soffrendo i mali che da persecutore aveva arrecato agli altri, ebbe infatti a dire: Affinché io completi nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo. ( Col 1,24 )

Con ciò mostrava che le sofferenze da lui sopportate rientravano nei patimenti stessi di Cristo.

La qual cosa non può intendersi riferita a Cristo in quanto capo: essendo in cielo, egli non può in alcun modo soffrire.

La si deve quindi riferire al suo corpo, cioè alla Chiesa: ( Col 1,24; Ef 1,22-23 ) il quale corpo è, insieme al suo capo, l'unico Cristo.

21 [13] - Dimostrate dunque nei fatti d'essere un corpo degno di tale capo, una sposa degna di tale sposo.

Un capo come lui non può avere un corpo che non sia degno di lui, né uno sposo come lui una sposa che non sia degna di lui.

Dice Paolo: Per farsi comparire dinanzi una Chiesa coperta di gloria, che non ha né macchia né ruga o cose del genere. ( Ef 5,27 )

Ecco com'è la sposa di Cristo: non ha né macchia né ruga.

Vuoi non avere macchie? Fa' quel che dice la Scrittura: Lavatevi, purificatevi, togliete ogni sorta di male dai vostri cuori. ( Is 1,16 )

Vuoi non avere rughe? Distenditi sulla croce.

Non basta infatti che tu venga lavato, ma, per essere senza macchia né ruga, devi anche stenderti.

Nel [ santo ] lavacro ti vengono tolti i peccati; quando poi sei steso s'accende in te il desiderio dell'eternità, per donarti la quale Cristo fu crocifisso.

Ascolta [ cosa dice ] Paolo, ormai lavato [ nel battesimo ]: Egli ci ha salvati non per le opere di giustizia compiute da noi ma per la sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione. ( Tt 3,5 )

Ascoltalo ancora mentre è disteso.

Dice: Dimenticando le cose passate, proteso verso quelle che ho davanti, con grande tensione proseguo il cammino verso la palma della vocazione avuta da Dio in Cristo Gesù. ( Fil 3,13-14 )

Ben a ragione dunque Paolo, consapevole d'essere senza macchia di perversità e senza ruga di doppiezza, ( Ef 5,27 ) da buon amico dello Sposo ( Gv 3,29 ) e a lui fedele, gli consegna la vergine casta e la presenta a lui, suo unico sposo, ( 2 Cor 11,2 ) senza macchia o ruga. ( Ef 5,27 )

Non è infatti senza motivo che viene ricordata la profezia di Isaia [ che ci indirizza ] « presso la via del lavandaio ». ( Is 7,3 )

22 - Cose come queste hanno tutte, fratelli, un risvolto sacramentale.

Pertanto le numerose affermazioni della Scrittura che suonano come assurde e prive di senso sono, sì, celate [ al nostro intelletto ], ma non ne segue che, per essere a noi celate, esse siano vuote di contenuto.

Dio mette sotto chiave il recipiente pieno e cerca persone che vadano a bussare perché egli possa aprire. ( Mt 7,7-8; Lc 11,9-10 )

Naturalmente tu devi soppesare la cosa; devi cioè - permettetemi la battuta - fare ciò che fanno i bambini quando comprano le noci.

Per non essere imbrogliati, pesano con la mano la merce e se trovano che è pesante, acquistano con maggiore tranquillità quello che è ancora nascosto ai loro occhi.

Quando dunque nei libri della Scrittura - così santi, così famosi, così noti in tutto il mondo, così diffusi nell'intero universo abitato - tu incontri delle espressioni incomprensibili, sàggiane il peso e troverai che, da quando le cose sono state annunziate fino ai nostri giorni, nelle vicende umane non è accaduto nient'altro che quello ivi predetto.

Grande davvero quindi il peso della loro autorità!

Ebbene, a norma di tale autorevolezza tu valuta le varie sentenze scritturistiche.

Ecco, ad esempio, che la tua mente si mette a ragionare sulle parole: E i due saranno una sola carne. ( Gen 2,24; Ef 5,31 )

Essa forse stava già prendendole in senso dispregiativo e si diceva fra sé e sé: « Ma cos'è questa roba? Sarà proprio vero che Dio si preoccupi d'insegnarci come debbano unirsi l'uomo e la donna e per questo dice: I due saranno una sola carne? ».

Non buttar via tali parole! Tu sei un bambino: controlla il peso!

Risponde: « E come potrò farlo? ».

Di' a te stesso: « Effettivamente, parole come queste saprebbe dirle qualsiasi idiota; non c'è bisogno di uno che, bene o male, è chiamato uomo di Dio.

Quanto poi a Mosè, che è l'autore delle parole, si sa che aveva uno spirito di levatura, quanto meno, normale ».

E nota ancora che non senza un perché questi scritti si sono divulgati in tutto il mondo e in tutto il mondo riscuotono onore religioso da parte dei credenti.

« Se non ci fosse stato un qualche motivo particolare, Mosè non avrebbe detto che i due saranno una sola carne.

In queste parole ci dev'essere un non so che di notevole: un qualcosa che lascia sgomenta la ragione umana e, sotto qualche aspetto almeno, le rimane nascosto.

Non sono, comunque, parole vuote ».

Se dialoghi con te stesso in questa maniera, sei uno che sta pensando.

E, se avrai pensato bene, avrai anche riscontrato che si tratta di una cosa importante, che tu vuoi conservare con [ grande ] sicurezza.

Ma forse tu sei un bambino a cui mancano le forze per aprire l'involucro.

Ad ogni modo, conservalo e rallegrati, consapevole che hai in mano un recipiente colmo.

Non ti mancherà qualcuno capace di aprirtelo e darti da mangiare.

Egli replica: « E chi me lo potrà aprire? ».

Ma certo che ci sarà qualcuno in grado di aprirtelo!

Esprimiamoci come se stessimo trattando con un bambino: Consegnalo a quel tale, padre veramente tenero, che diceva: Vi dico queste cose non per farvi arrossire ma per ammonirvi come figli miei carissimi. ( 1 Cor 4,14 )

Come vedi, è un apostolo, e quindi, almeno in qualche modo, è certamente anche un padre.

Egli ti apre il recipiente che tu tieni chiuso in mano, quello che tu hai pesato e di questo suo peso ti sei accorto.

Non temere! Egli te lo aprirà, poiché ha per te l'amore di padre, che gli fa dire: Anche se aveste molti pedagoghi in Cristo, non per questo però avreste molti padri, poiché sono stato io colui che vi ha generati in Cristo Gesù mediante il Vangelo. ( 1 Cor 4,15 )

Egli ha anche l'amore di madre, per cui può dire: In mezzo a voi io mi sono fatto piccino come quando una nutrice si prende cura dei suoi figli. ( 1 Ts 2,7 )

Non parla di « madre » poiché a volte capita che delle madri, o perché troppo gracili o perché prive di affetto verso i propri figli, dopo averli partoriti, li affidano ad altre persone perché vengano allattati.

D'altra parte, se avesse detto solamente: Come una nutrice che si prende cura e non avesse aggiunto: Dei suoi figli, avrebbe lasciato intendere che egli aveva ricevuto, per nutrirli, i figli messi al mondo da un'altra persona.

Egli pertanto si dà il nome di nutrice perché nutriva, e precisa che erano figli suoi perché egli di persona li aveva partoriti, tanto che poteva dire: Figliolini miei, che io partorisco di nuovo finché Cristo non sarà formato in voi. ( Gal 4,19 )

Ovviamente egli li partorisce nel modo che fa la Chiesa, prestando cioè il grembo ma non il seme; tuttavia egli ne è il padre o anche la madre, per cui tu puoi chiamarlo col nome che ti pare senza provocarne le ire.

In effetti egli volle essere l'una e l'altra cosa per l'affetto del cuore, mentre non era né l'una né l'altra per motivi di sesso.

Ebbene, a questo padre, o madre, dà quell'oggetto che tieni chiuso in mano, quell'oggetto così pesante, di così notevole autorità: fattelo aprire da lui!

È la Genesi il libro in cui trovi scritte quelle parole. ( Gen 2,24 )

Non può trattarsi di cosa insignificante; ci dev'essere racchiuso qualcosa di serio.

Non ti sembra che abbia voluto dirti qualcosa colui che ti parlava di sacramento?

« Ma sì che lo avverto! È così grande il suo peso; tuttavia per me, almeno finora, è un recipiente chiuso ».

Ti dice: [ Che sia sacramento ] io te lo dico in riferimento a Cristo ed alla Chiesa. ( Ef 5,32 )

Eccoti il cibo: sàziatene, tu che non hai buttato via il recipiente quand'era chiuso.

Viceversa, colui che quand'era chiuso l'avesse trascurato o gettato via, in nessun modo potrebbe giungere a trarne il nutrimento.

23 - Una cosa me ne fa venire in mente un'altra.

Vi ho ricordato le noci, e, come pare, abbiamo ricollegato assai bene la cosa con l'argomento del presente discorso, nel quale abbiamo voluto trattare di misteri a noi nascosti.

Non fu, dunque, per caso che Giacobbe prese tre rami di colore diverso e li pose nell'acqua da cui bevevano le pecore mentre si accoppiavano.

Non volle prenderli da una sola pianta ma da piante diverse. ( Gen 30,37-38 )

Per ottenere l'effetto che egli si prefiggeva, i rami potevano benissimo essere di una medesima pianta; né c'era alcun bisogno che fossero di tre piante.

Le piante potevano essere di più o di meno: bastava collocare nell'acqua tre rami d'albero diversi per colore.

Che significa dunque il fatto che egli vi collocò tre rami, presi da tre piante diverse?

Non ci si inculca un qualche mistero, che rimane nascosto alla nostra mente?

Tenterò io di squarciare l'involucro e di mostrarvene il contenuto, per quanto mi consentono le forze che il Signore si degna di accordarmi.

Giacobbe stava pascolando le pecore del suocero, e con lui aveva stipulato un patto per cui sarebbe stato suo ogni nato dalle pecore o dalle capre che avesse presentato chiazze di diverso colore: rientrava nel compenso a lui dovuto come pastore. ( Gen 30,31-36 )

Ora Giacobbe si procurava questo compenso ricorrendo a quei rami di diverso colore: posando su di essi lo sguardo al momento di concepire, le pecore, per la voglia che accendeva in loro una tale vista, procreavano figli variamente colorati. ( Gen 30,38-39 )

Orbene, nei nati di quel gregge, differenti per colorazione, si raffigurava la diversità delle genti.

Quegli animali infatti erano di una stessa tinta, eppure concepivano e partorivano figli di colori diversi.

Analogamente, i primi predicatori del Vangelo provenivano tutti dal giudaismo, ma perché fosse generata [ nella fede ] la moltitudine delle genti occorreva che essi concepissero e partorissero figli [ fra loro ] diversi.

Essi sono l'eredità di Giacobbe, ( Ger 10,16; Dt 32,9 ) quel Giacobbe che era figura di Cristo, come era anche figura di quel popolo minore, del quale fu detto: Il maggiore sarà servo del minore. ( Gen 25,23; Rm 9,12 )

Quanto a voi, santi fratelli, ricorderete certamente che io vi ho già parlato di Esaù e Giacobbe, al quale nella benedizione che ricevette dal padre fu anche detto: Ti serviranno tutte le genti. ( Gen 27,29 )

Rientravano dunque nell'eredità di Giacobbe i popoli pagani, così diversi fra loro; ma, se non fossero venuti dal giudaismo i predicatori [ del Vangelo ], per cui animali di una stessa categoria potessero concepire bevendo l'acqua colorata da quei rami, non avrebbero partorito fedeli nel così diversificato mondo pagano.

24 - Ma come poté quella greggia concepire genti così diverse?

Lo poté fare senza dubbio per quei tre rami.

Erano infatti nel tempo della riproduzione gli animali quando Giacobbe fece assumere ai rami colori diversificati, cioè quando egli ne staccò la corteccia con incisioni distanziate e, fatto questo, li collocò nell'acqua.

Bevendo da tali acque le pecore ne avrebbero riportato voglie diverse, che sarebbero poi comparse nei diversi colori della prole. ( Gen 30,37-39 )

Questo risultato, ovviamente, si sarebbe potuto conseguire con qualsiasi numero e genere di rami; ma il mistero del popolo cristiano, che sarebbe sorto in epoca posteriore, non era conosciuto dal popolo giudaico, se si escludono pochi santi profeti e pochi dottori della legge.

I quali ultimi poi ne furono invidiosi, tanto che il Signore diceva loro: Guai a voi, che avete in mano le chiavi del Regno dei cieli, ma non vi entrate voi né permettete agli altri di entrarvi. ( Lc 11,52; Mt 23,13 )

Gli stessi legisperiti sono raffigurati nella parabola dei vignaioli che, non volendo consegnare quanto dovevano, dissero: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e l'eredità sarà nostra. ( Mc 12,7; Mt 21,38; Lc 20,14 )

Non avrebbero detto cose come queste, se non avessero avuto una qualche conoscenza del Cristo, ma la sua divinità, per la quale egli è uguale al Padre, rimaneva loro nascosta.

Se infatti lo avessero conosciuto, mai avrebbero crocifisso il Signore della gloria. ( 1 Cor 2,8 )

Ma non di fra mezzo a loro scelse i predicatori, che avrebbe inviati nel mondo, colui che scelse i deboli del mondo per confondere i forti, ( 1 Cor 1,27 ) e per questo si potesse dire: Dov'è il sapiente?, dove il dottore in legge?, dove l'investigatore di questo mondo?

Non ha forse Dio reso stolta la sapienza di questo mondo? ( 1 Cor 1,20 )

Di conseguenza il mistero che rimase celato ad essi è stato rivelato a persone incolte ed inesperte, ( Mt 11,25; Lc 10,21; At 4,13 ) e mediante il battesimo di Cristo è stato consegnato alle nazioni, anche le più diverse.

Fu per questo che le greggi [ di Giacobbe ] per l'influsso dei tre rami immersi nell'acqua concepirono figli variamente colorati.

Ci fu infatti un tempo in cui si predicava Dio Padre, ma restava sconosciuta l'incarnazione del Figlio.

Questa veniva annunziata frequentemente nelle profezie, ma era compresa da pochissime persone: per questo la moltitudine delle genti nella loro diversità non era ancora partorita.

La cosa, viceversa, si realizzò quando da quei tre rami bevvero quelle pecore, cioè quei primi israeliti dai quali sono nate, nella loro diversità, le genti che rientrano nella sorte di Giacobbe, cioè nella eredità di Cristo.

Di questi israeliti dice l'Apostolo: Anch'io infatti sono un israelita, dalla stirpe di Abramo, dalla tribù di Beniamino. ( Rm 11,1 )

Come lui, erano israeliti Pietro, Andrea, Giovanni e Giacomo, e gli altri apostoli e tutti quei primi araldi [ del vangelo ] di Cristo dei quali dice l'Apostolo che ad essi sono debitori tutti i gentili.

Egli si esprime così: Se dei loro beni spirituali sono diventate partecipi [ tutte ] le genti, queste debbono somministrare ad essi i beni materiali. ( Rm 15,27 )

Or dunque, quegli israeliti, appartenendo tutti ad uno stesso popolo, erano in un certo qual modo un gregge monocolore; essi però bevvero - sia lecito dire così - il mistero dell'incarnazione del Signore, e pertanto, proprio in virtù del mistero dell'incarnazione del Signore, poterono generare al Vangelo genti così diverse, come diverse nella colorazione erano le pecore [ di Giacobbe ].

25 - Ma come si può vedere in quei tre rami il mistero dell'incarnazione del Signore?

Osserviamo di quali piante fossero quei rami.

Uno era di noce, un altro di platano e un altro di storace. ( Gen 30,37 )

Così reca la Scrittura. A noi quindi il compito di interrogare la nostra fede per conoscere cosa insegna sull'incarnazione del Signore.

Noi infatti crediamo che egli nacque dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo.3

Orbene, il Signore che nasce dice relazione al ramo di noce, poiché, come non è possibile giungere a mangiare la noce senza rompere il guscio legnoso, così il nostro Signore Gesù Cristo non potrebbe assumerci se noi non giungessimo al suo corpo mediante il legno della croce.

È una cosa talmente risaputa che voi con la mente avete prevenuto la mia voce: voi stessi, dico, con la vostra voce avete chiaramente espresso ciò che io avevo cominciato a dire ma non avevo ancora specificato.

Orbene, chi vi ha condotti a questo cibo, chi ve l'ha fatto comprendere così rapidamente, se non colui che fu sospeso all'albero [ della croce ]? ( Dt 21,23; Gal 3,13 )

Senza la croce del Signore infatti non sareste cristiani e, se non foste cristiani, non avreste accolto con tanta celerità e gusto questa dottrina.

Quanto al ramo di platano, a che cosa si riferisce?

Ecco, noi affermiamo che Cristo nacque dallo Spirito Santo; e io personalmente sono dell'avviso che si faccia bene a mettere il ramo di platano in relazione con lo Spirito Santo.

Se infatti consideriamo l'ultimo dei tre rami, cioè quello di storace, non v'è dubbio che esso, per il soavissimo profumo che emana, sta ad indicare l'incorrotta verginità di Maria.

In effetti, se la nascita del Signore è circondata dalla nota di fragranza e di profumo dolcissimo che l'han resa celebre ciò dipende dall'essere egli nato da una vergine.

Più difficile è la comprensione del ramo di platano, spiegare cioè come esso riguardi lo Spirito Santo.

Se però voi mi sosterrete con le vostre preghiere, il Signore mi assisterà e, servendosi di me, manifesterà a voi [ il segreto ].

Attraverso il mio servizio, umile sì ma pieno di zelo per il vostro progresso, egli vi mostrerà in che modo nel ramo di platano si debba intendere lo Spirito Santo.

Se mi metto a ricercare il motivo per cui [ alle altre piante ] preferisco il platano, non mi risulta che il platano venga apprezzato per altro motivo che quello d'offrire la sua estesissima ombra a chi vi si voglia riparare dalla calura.

Chi conosce la pianta e com'essa è fatta, riconosce che io dico la verità.

Noi dunque preferiamo il platano e lo desideriamo per la grandezza della sua ombra e per il gradevole refrigerio della frescura che ci offre quando al suo riparo, ci riposiamo dal caldo.

Orbene, della Vergine Maria noi sappiamo che doveva concepire il Figlio non nell'ardore della concupiscenza ma nel refrigerio di una castità fedelissimamente custodita e di una verginità incontaminata.

Mai ella nutrì il desiderio di amplessi maritali, ma concepì ad opera della fede.

Fu vergine nel diventare madre, vergine nel partorire, vergine nel resto della vita.

Lei dunque dallo Spirito Santo ottenne la maternità, e il medesimo Spirito le diede il refrigerio per cui fu esentata dal fuoco di ogni concupiscenza carnale.

Per questo motivo lo Spirito Santo fu simboleggiato nel ramo di platano.

Parlando così, potrei anche essere nel falso; ma nel Vangelo trovo un angelo che parla [ a Maria ] e le dice: Lo Spirito di Dio scenderà su di te, e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. ( Lc 1,35 )

26 - Ecco dunque, carissimi, quanto il Signore, secondo il suo volere, si degna concedermi: egli ce l'accorda non per i nostri meriti ma per la fiducia [ che riponiamo in lui ].

Ve lo ripetiamo ininterrottamente, né è cosa su cui si possa tacere: il frutto della parola di Dio deve riscontrarsi nelle vostre opere.

Assai sventurata infatti è la terra che, bagnata da copiosa pioggia, non produce frutti o magari genera spine. ( Mt 13,19-23; Mc 4,15-20; Lc 8,12-15; Eb 6,7-8 )

Dispiacetevi insieme con noi di coloro dei quali piangiamo la sorte.

Spesse volte noi veniamo a dirvi che i digiuni indetti per i giorni in cui i pagani celebrano le loro feste dobbiamo praticarli per implorare [ la misericordia di ] Dio sugli stessi pagani.

Ma di fronte alle malaugurate lascivie a cui si abbandona tanta gente, restiamo sgomenti quando anche alcuni fratelli cristiani [ vi prendono parte ].

Per questi tali vi esortiamo, fratelli, a pregare insieme con noi, affinché, una buona volta, si ravvedano e accettino la correzione.

Che cosa mai è infatti questo? Male davvero grave e deprecabile!

Un cristiano che non sa mettersi sotto i piedi scemenze come queste, divertimenti così insulsi, a che cosa saprà rinunciare per amore di Cristo?

Quale sofferenza saprà tollerare un simile cristiano quando verrà una qualche tribolazione a metterlo alla prova?

Se lo travolge uno sputo, non lo porterà via un fiume in piena?

Che io non vi abbia manifestato invano il mio dolore, santi fratelli!

Coloro che oggi sono qui presenti, mentre ieri non erano qui a digiunare, si dispiacciano perché, nei giorni in cui i pagani celebrano le loro feste, sono vissuti anch'essi da pagani, causando a noi tristezza per la loro sorte; e si degnino, una buona volta, di liberare il nostro animo dalla tristezza e il loro dalla malizia del peccato.

Indice

1 A. Otto, Die Sprichwörter und sprichwörtlichen Redensarten der Römer, Leipzig 1890, p. 196, n° 965; R. Häussler (ed.), Nachträge zu A. Otto Sprichwörter…, Hildesheim 1968, pp. 37-38, 277
2 Otto, Die Sprichwörter…, pp. 204-205, n° 1008; Häussler (ed.), Nachträge zu A. Otto Sprichwörter…, pp. 59, 109, 181, 277
3 Symbolum fidei