Gesù

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Gesù ( in ebraico Jehoshu'a ) è nome di persona assai frequente nel mondo ebraico ( Sir 50,27; Col 4,11 ) e significa "Dio è aiuto", "Dio salva"; Cristo ( dal greco Christós, che traduce l'ebraico Mashiach ) significa l' "unto", il "consacrato" annunciato dai profeti.

Gesù è ricordato come Gesù di Nazaret perché a Nazaret vivevano i suoi genitori e lui stesso vi risiedette prima di iniziare la sua attività pubblica.

La vicenda storica e la testimonianza dei Vangeli

La vicenda storica

Su Gesù le fonti extrabibliche sono scarse.

Di lui si fa menzione in alcuni scritti giudaici ( Giuseppe Flavio, il Talmud ) e pagani ( Tacito, Svetonio ).

La fonte principale è dunque il Nuovo Testamento, e in particolare i Vangeli ( v. ).

Secondo la tradizione evangelica, Gesù di Nazaret nacque a Betlemme, in Giudea, durante l'impero di Augusto e negli ultimi anni del regno di Erode, morto, secondo Giuseppe Flavio, nel 750 ab Urbe condita ( a.U.c. ), cioè dalla fondazione della città di Roma.

La nascita di Gesù deve perciò essere fatta risalire a qualche anno prima della morte di Erode, verso il 747 o 748 a.U.c., vale a dire il 7-6 a.C. in base al nostro calendario.

Sono quindi errati i calcoli del monaco Dionigi il Piccolo, che agli inizi del VI sec. fissò la data di nascita di Gesù nel 754.

Figlio di Maria, sposa di un uomo di nome Giuseppe, della casa di Davide, Gesù visse a Nazaret, sotto il dominio ( tetrarchia ) di Erode Antipa, figlio di Erode il Grande.

All'inizio della sua vita pubblica Gesù si trasferì da Nazaret a Cafarnao, dove abitò nella casa di Pietro.

Dopo la predicazione in Galilea per annunciare il Regno di Dio ( v. ), si avviò verso Gerusalemme, dove fu arrestato, processato dal Sinedrio per la sua pretesa di rivendicare dignità e realtà divina, consegnato al procuratore romano di Giudea Ponzio Pilato e condannato a morte per crocifissione ( secondo la maggioranza degli studiosi, nell'anno 30 ).

La testimonianza delle comunità cristiane

L'intuizione portante del Nuovo Testamento - che gli conferisce unità pur nella varietà delle voci - è che in Gesù si sono svelati la verità di Dio, la verità dell'uomo e il senso della storia.

In Cristo si è rivelato chi è Dio per noi e chi siamo noi per lui: questa è la fede dei primi cristiani come è la fede della Chiesa di oggi.

Dicendo "in Gesù" si devono intendere non soltanto le sue parole, ma anche la storia personale che egli ha vissuto.

Gesù di Nazaret è la trascrizione umana, storica, di Dio.

L'uomo Gesù - uomo vero in mezzo alla storia degli uomini - è la Parola di Dio ( v. ).

L'inno di Col 1,15-20 ( un antico inno liturgico ) definisce il Cristo "immagine del Dio invisibile".

Gesù è l'icona visibile del Dio invisibile.

L'invisibilità di Dio si è dissolta nell'apparizione storica di Gesù di Nazaret.

In questa fede è racchiuso uno scandalo, e gli autori del Nuovo Testamento ne sono consapevoli: la relazione con l'Assoluto è fatta dipendere da un evento storico particolare, circoscritto in un frammento di tempo e di spazio.

Ma questo scandalo, lungi dall'essere attenuato, è dalla fede cristiana gelosamente custodito e continuamente riaffermato.

L'annuncio del Regno di Dio

Secondo i Vangeli Gesù ha annunciato il Regno di Dio, facendone lo scopo della sua predicazione e la ragione di tutte le sue scelte.

Dio è qui e agisce in nostro favore: questo è il significato essenziale dell'espressione Regno di Dio.

Un'azione di Dio, però, che nell'annuncio di Gesù assume tratti di sorprendente novità.

E difatti, in qualsiasi modo Gesù parli del Regno, non manca mai l'idea di una novità che esige dall'ascoltatore un'inversione di marcia, un modo nuovo di considerare le cose, a incominciare proprio dalla stessa azione salvifica di Dio.

Nuova, per fare un esempio, è l'accentuazione dei tratti della misericordia e dell'universalità.

Certo anche nella società religiosa del tempo si parlava di misericordia, ma era molto più accentuato il giudizio, e in ogni caso si consigliava la separazione fra giusti e peccatori.

L'accoglienza dei peccatori

Nella predicazione di Gesù la prospettiva si rovescia.

Il suo modo di essere Messia, che Gesù intende presentare come lo specchio dell'azione di Dio, o caratterizzato dall'accoglienza dei peccatori.

Tutto questo suscitò conflitti e non mancò di creargli difficoltà, ma per Gesù l'accoglienza dei peccatori è un punto fermo, al quale non può rinunciare, nonostante le polemiche e le opposizioni.

La stessa croce ( una morte "per i peccatori" ) non sarebbe comprensibile senza la precedente accoglienza dei peccatori.

Con i suoi gesti di misericordia Gesù ha inteso rivelare non semplicemente la salvezza di Dio, ma proprio l'universalità e la gratuità di questa salvezza.

Accogliendo i peccatori, egli ha rotto lo schema del puro e dell'impuro ( v. puro/impuro ), facendo crollare ogni barriera emarginante.

Gesù guarda l'uomo semplicemente nel suo rapporto con Dio o, meglio, nel rapporto che Dio ha con lui.

Dio si pone davanti all'uomo come un padre misericordioso: questo è ciò che Gesù ha inteso mostrare con le sue parole e con i suoi gesti.

Per questo motivo egli non soltanto ha accolto i peccatori, ma ha privilegiato gli emarginati di ogni specie, specialmente i poveri.

E anche questo uno dei tratti più storicamente sicuri del suo ministero.

Il privilegio evangelico dei poveri

Alla radice di questa scelta di Gesù c'è la volontà di rivelare il vero volto del Regno.

Il Regno è annunciato ai poveri non perché essi siano migliori dei ricchi, più buoni e generosi, e neppure perché la loro situazione sia da considerarsi la condizione ideale per l'accoglienza del Regno, bensì perché Dio è dalla loro parte, prende le loro difese.

La ragione del privilegio evangelico dei poveri non deve essere cercata nelle disposizioni spirituali che essi possono avere, ma nel desiderio di giustizia che Dio ha verso di loro.

Certo Gesù ha frequentato anche uomini ricchi, uomini detentori della cultura e dell'autorità, e anche a costoro ha annunciato il Regno.

In nessun modo però ha considerato la loro posizione una via privilegiata per l'annuncio del Regno.

Gesù non ha mai considerato il denaro, ne coloro che lo possiedono, ne le molte cose che con il denaro si possono fare come una via favorevole all'istaurazione del Regno di Dio.

E difatti egli ha condotto una vita povera e nomade e ha resistito a tutte le sollecitazioni che gli suggerivano di servirsi del prestigio, della potenza e del dominio.

Fu una tentazione che lo accompagnò tutta la vita, proveniente da Satana ( Mt 4,1-11 ), dalle folle ( Gv 6,15 ), dagli scribi e dai farisei ( Mc 8,11 ) e persino dagli stessi discepoli ( Mc 8,32-33 ).

Davanti a Dio

Ma la singolarità di Gesù di Nazaret è soprattutto un'altra: egli è stato sempre e in tutto, nei suoi gesti come nelle sue parole, "davanti a Dio".

Ha parlato di Dio più che di se stesso.

Ma proprio parlando di Dio, ha rivelato se stesso.

Ci ha fatto capire di essere Figlio parlando in modo singolare di Dio come Padre.

E questo l'aspetto più sconvolgente di Gesù: la sua convinzione di essere nei confronti della paternità di Dio come uno che in modo tutto particolare, unico, la conosce e la esperimenta.

Come testimoniano unanimemente i Vangeli, Gesù non ha però scelto di rivelare di colpo, e a tutti, questo lato profondo e misterioso della sua identità, ma gradualmente, lasciandosi indovinare più che dichiarandosi apertamente, tanto che gli stessi discepoli hanno pienamente capito chi egli era soltanto alla fine del cammino con lui.

Gesù si è manifestato "indirettamente" in molti modi: con l'autorevolezza del suo insegnamento e l'immediatezza del suo messaggio; con la potenza - e al tempo stesso la discrezione - dei suoi miracoli; con il suo amore incondizionato a Dio e agli uomini; con l'incantevole familiarità del suo rapporto col Padre.

Rivelatrice, per esempio, è la sua invocazione - davvero insolita, comunque la si valuti - nel momento cruciale della Passione: Abbà, babbo ( Mc 14,36 ).

Rivolgendosi al Padre con questo tenerissimo nome, Gesù svela un rapporto di grande confidenza e di totale fiducia.

Crocifisso e risorto

Gesù ha radunato attorno a sé una cerchia di discepoli che lo hanno seguito vivendo con lui, ha incontrato il favore della gente, ma al tempo stesso ha suscitato dapprima la diffidenza delle autorità, e poi un'aperta ostilità, che è sempre più ingrandita fino a favorire la sua condanna a morte da parte del procuratore romano Ponzio Pilato.

Secondo i Vangeli le ragioni di tanta ostilità possono essere state più d'una: nel suo insegnamento Gesù ha osato dire: "A voi è stato detto... ma io vi dico" ( Mt 5,21 ss. ); ha considerato decaduta l'interpretazione legalistica della regola del puro e dell'impuro ( v. puro/impuro ); ha accolto i peccatori quasi sostituendosi a Dio, dicendo loro: "I tuoi peccati ti sono rimessi"; ha detto che avrebbe distrutto il Tempio per costruirne uno nuovo.

Queste ragioni - e probabilmente anche altre - hanno allarmato le autorità: vi scorgevano una inaccettabile pretesa di porsi sopra l'ordinamento religioso consolidato, e un pericolo di sovversione sociale e politica che quella stessa pretesa portava con sé.

Questo intreccio di ragione religiosa e politica - comprensibile e inevitabile in una società come quella di Gesù - è stato il motivo che ha spinto le autorità a far condannare Gesù.

Ma i Vangeli non si dilungano molto su questi aspetti.

Insistono invece nel dirci come Gesù è morto e il significato della sua morte.

Pur nella varietà dei particolari, i quattro Vangeli sono unanimi nel raccontare che Gesù è morto come è vissuto, cioè facendo della sua morte un'offerta a Dio e agli uomini.

È vissuto in perenne obbedienza al Padre e ha fatto di tutta la sua esistenza un "dono" per la salvezza degli uomini ( Mc 10,45 ).

E così è morto.

Sono costretti a riconoscerlo anche coloro che ai piedi della croce scherniscono Gesù.

"Ha salvato altri, non può salvare se stesso" è la prima espressione di scherno.

Ma è la verità: Gesù è vissuto, e ora muore, non per se stesso, ma per gli altri.

"Ha confidato in Dio, lo liberi lui, se gli vuoi bene" ( Mt 27,43 ) è la seconda espressione dello scherno.

Ma anche questa dice la verità: Gesù è vissuto, e ora muore, rimettendosi fiduciosamente nelle mani del Padre.

Ma la storia di Gesù non finisce qui.

Il racconto evangelico prosegue dicendo che, all'alba della domenica, alcune donne che si recavano al sepolcro lo trovarono vuoto, e un'apparizione celeste aveva spiegato loro che Gesù è risorto.

Anche i discepoli, dapprima increduli, sono poi costretti a credere, quando Gesù appare loro.

Il Crocifisso è risorto, questa la grande notizia che conclude il racconto evangelico.

Chi ha condannato a morte Gesù pensando di farlo tacere si è sbagliato.

Per la fede Gesù è risorto e la sua causa continua.

Se i Vangeli hanno raccontato la sua storia non è stato per esaltare la figura di un eroe che ha saputo accettare la morte per rimanere fedele alla propria missione e al suo Dio, ma per raccontare la storia del Figlio di Dio che è vissuto, morto e risorto, per gli uomini.

Fosse stata semplicemente la storia di un martire, avrebbe insegnato in modo esemplare come l'uomo debba stare davanti a Dio.

Essendo invece il Figlio di Dio, la storia di Gesù ha raccontato come Dio si pone davanti all'uomo.

Per la fede dei primi cristiani - e per la Chiesa di sempre - questa è la novità di Gesù Cristo.

Dal racconto alla teologia del Nuovo Testamento

Di fronte all'evento di Gesù - qui sommariamente descritto sulla scorta della tradizione evangelica - le prime comunità cristiane si sono poste molti interrogativi circa la sua persona, la sua vicenda, il suo messaggio, il suo significato per l'uomo.

Si è così messo in moto un processo di approfondimento e di rielaborazione teologica molto complesso, sollecitato da almeno tre fattori: il dinamismo interno alla fede stessa, che spinge a comprendere sempre più e sempre meglio ciò a cui si crede; le più disparate esigenze pastorali della vita della Chiesa ( culto, predicazione, polemica ) che reclamavano risposte e, quindi, un approfondimento del proprio patrimonio di fede; l'incontro/scontro con le sollecitazioni culturali provenienti dall'ambiente circostante.

Questo processo di approfondimento e di rielaborazione non è stato, però, abbandonato a se stesso, ma guidato da alcune leggi, quali la fedeltà alla tradizione di Gesù, la fedeltà alla propria contemporaneità, la comunione di fede con tutte le altre comunità cristiane, l'obbedienza allo Spirito.

Va sottolineato che il "dibattito cristologico", già così vivo nelle comunità cristiane delle origini, nasce dall'interno dello stesso mistero di Cristo, che si presenta come una realtà che racchiude in sé molteplici tensioni: umanità e divinità, la potenza dei miracoli e la debolezza del Crocifisso, la Croce e la risurrezione; l'efficace presenza del Cristo risorto nelle comunità dei credenti nelle quali, tuttavia, continua ancora la presenza del peccato; la signoria del Signore risorto sull'intera storia umana che tuttavia sembra ancora in mano al "principe delle tenebre".

E così la comunità si interroga sull'identità di Gesù, sul senso della Croce, sulla sua efficacia.

Sono le stesse domande che il credente continua a porsi oggi.

Nell'ampio e vario panorama delle riflessioni teologiche neotestamentarie su Gesù, noi scegliamo tre voci, a titolo di esempio: la riflessione di Marco, il primo evangelista; la riflessione di Paolo, il grande missionario che ha annunciato il Cristo ai pagani; la riflessione di Giovanni, che colpisce per la sua straordinaria profondità.

Il Vangelo di Marco: al centro la Croce

Stando all'ipotesi oggi più corrente, Marco fu il primo a scrivere un Vangelo, cioè una storia compiuta che va da Giovanni Battista alla risurrezione.

Prima di lui esistevano raccolte di parole del Signore, parabole, miracoli, il racconto della passione e risurrezione.

Ma per Marco tutto questo non basta: egli ritiene importante l'insieme.

Evidentemente la storia di Gesù è sempre stata al centro dell'attenzione delle comunità, fin dalle origini.

Ma il modo di raccontarla era frammentario.

Marco intende invece sottoporre al lettore l'insieme della storia di Gesù, la vita, la predicazione, le controversie, i miracoli, la passione e la risurrezione.

Per lui è importante l'intera storia di Gesù, ed è importante che sia raccontata, appunto, come una storia, nel suo svolgersi.

Ecco perché egli non si limita a raccogliere i diversi ricordi e a raggrupparli, ma li ordina secondo uno
schema progressivo.

Marco è poi convinto che i diversi aspetti della storia di Gesù - miracoli, parole, morte e risurrezione - non vadano semplicemente accostati ( quasi bastasse la completezza a farci cogliere il significato che racchiudono ), bensì letti e valutati a partire da un centro.

Non c'è dubbio che per Marco il centro, da cui partire e in base al quale tutto valutare, sia la Croce/risurrezione.

Ecco perché il motivo della passione è costantemente all'orizzonte, introdotto - sia pure in sordina - sin dall'inizio.

Da Marco 8,7 in poi ( esattamente la metà del Vangelo ) il racconto è scandito dalle tre predizioni della passione, ma già in 3,6 ( alla fine della sezione delle controversie ) si legge che farisei ed erodiani decisero "di farlo morire".

Anche più indietro ( 2,20 ) Gesù è descritto come lo "sposo" che ora è presente ma che sarà "tolto" ( allusione velata alla morte sulla croce ).

E il ministero pubblico di Gesù ( 1,14 ) è introdotto dall'annotazione "dopo che Giovanni fu consegnato"; annotazione che già prefigura la sorte di Gesù stesso: come tutti i profeti e come Giovanni Battista, anch'egli sarà "consegnato" .

Così Marco invita a leggere il suo racconto partendo dalla conclusione.

Per l'evangelista il punto più panoramico, in grado di mostrare per intero e in profondità la vicenda di Gesù, è il Calvario.

Non è escluso che Marco, insistendo sul tema della passione, fosse in polemica con una tendenza - di cui avvertiva la presenza e il rischio - che privilegiava gli aspetti gloriosi del Messia.

Marco avverte il pericolo di una cristologia della gloria a scapito della Croce, e perciò non perde occasione per mostrare che i titoli cristologici - Messia, Figlio dell'uomo e Figlio di Dio - vanno riempiti di contenuto rapportandoli alla Croce/risurrezione: per convincersene basta leggere 8,27-33 ( per i titoli Messia e Figlio dell'uomo ) e 15,39 ( per il titolo Figlio di Dio ).

Per Marco il nodo cristologico da sciogliere consiste in una sorta di contraddizione: da una parte, parole e gesti di Gesù nei quali si manifesta la potenza di Dio; dall'altra, una sconcertante debolezza.

Che i miracoli, per esempio, siano segni di potenza è ovvio, e che Marco attribuisca importanza a essi è mostrato dal fatto che i racconti di miracoli occupano nel Vangelo un ampio spazio.

Ma sono anche circondati da debolezza: infatti i gesti di potenza di Gesù non sono sottratti al dissenso.

Gesù delude la pretesa farisaica di un miracolo che provi la sua origine divina al di là di ogni dubbio ( 8,10-13 ).

E soprattutto i suoi gesti di potenza diminuiscono e spariscono man mano che si avvicina alla croce.

Marco è il Vangelo dei miracoli - segni di potenza - ma i miracoli muoiono sulla croce, ed è qui, paradossalmente, che vanno compresi.

È dunque chiaro: il miracolo mostra la potenza di Gesù, ma vuole anche paradossalmente e contemporaneamente evidenziarne l'impotenza di fronte alla volontà dell'uomo e di fronte alla salvezza di se stesso ( Croce ).

E così Marco, raccontando le azioni di Gesù, ne sottolinea la potenza e la debolezza, con un progressivo prevalere della debolezza che raggiunge il suo culmino sulla Croce, dove però avviene il capovolgimento.

In una prospettiva analoga va considerato anche il cosiddetto "segreto messianico".

Il lettore è sorpreso dal fatto che Gesù ripetutamente non vuole che si divulghi la sua identità: se è Messia, perché non vuole che se ne parli?

Egli compie i miracoli che lo rivelano Messia ma stranamente non vuole che questo si sappia: perché?

Perché c'è sempre il rischio di intendere male la sua messianicità, di strumentalizzarla e di stravolgerne le intenzioni.

Non bastano i miracoli per comprenderla.

Sembra che Marco voglia dire al suo lettore: non concludere subito e in fretta chi è Gesù, aspetta di avere in mano tutti gli elementi necessari per capire bene chi egli sia: devi per questo attendere di vederlo sulla Croce.

Un passo centrale e chiarificatore è la sezione che va da 8,27 a 9,13: la confessione di Pietro a Cesarea di Filippo e la trasfigurazione.

In questa sezione sono radunati diversi pareri su Gesù.

C'è la risposta della gente: è un profeta.

C'è la risposta dei discepoli: è il Messia.

La risposta dello stesso Gesù: il Figlio dell'uomo incamminato verso la Croce.

E c'è la risposta della voce celeste: è il Figlio unigenito da ascoltare.

Fra i due estremi del dibattito - il parere della gente e il parere della voce celeste - c'è un contrasto fra Pietro e Gesù.

Oggetto del contrasto sono la messianicità e la Croce, appunto i due aspetti che occorre collegare ( ma che a prima vista sembrano elidersi ), se si vuole cogliere la vera identità di Gesù.

Pietro vorrebbe una messianità senza Croce: la sua concezione di Dio non lascia spazio alla Croce.

Gesù è di parere nettamente contrario: la via di Dio passa attraverso la Croce.

Un analogo contrasto lo si ritrova ai piedi della croce ( 15,29-39 ).

Di fronte a Gesù - se guardiamo la scena dal punto di vista degli astanti - si scontrano due tipi di fede, e Gesù in Croce ne è lo spartiacque: da una parte, la fede di chi pretende che il Messia abbandoni la Croce e compia miracoli ( "Scendi ora dalla Croce, perché vediamo e crediamo" ), dall'altra, la fede di chi, come il centurione pagano, coglie la divinità di Gesù proprio sulla Croce ( "Vedendolo morire in quel modo, disse: Veramente quest'uomo era Figlio di Dio" ).

L'autentico credente è per Marco questo centurione che sa vedere nel Crocifisso il Figlio di Dio.

Paolo: Gesù, il nostro salvatore

A differenza dei Vangeli, Paolo non racconta la vita di Gesù: questa è supposta.

Egli è tutto proteso a capirne il senso e a dedurne le conseguenze per la vita.

La ricca riflessione teologica di Paolo - nella sua inafferrabile ricchezza di direzioni e di temi - si alimenta a una sola sorgente: alla Croce/risurrezione di Cristo.

E dalla Croce che Paolo deriva il principio che costituisce la chiave di volta della sua teologia: la salvezza è grazia, pura grazia.

In diversi passi autobiografici Paolo allude al suo incontro con il Signore risorto lungo la strada di Damasco: Gal 1,13-17; 1 Cor 15,8-10; Fil 3,7-14.

Da questi passi si comprende che Paolo ha colto nella sua personale esperienza, dal vivo, quella che per lui è l'essenza dell'evento di Gesù: egli è vissuto, morto e risorto per noi.

In altre parole, Paolo ha scoperto nella sua esperienza personale l'insospettabile gratuità dell'amore del Cristo, un amore preveniente e generoso: Gesù si preoccupa di salvare il suo persecutore!

Nelle sue lettere Paolo non farà che ritornare continuamente su questo tema: la salvezza viene da Cristo, non dall'uomo; è la fede in Gesù che salva, non le nostre opere, si trattasse pure di opere religiose.

Per Paolo Gesù è anzitutto il "Salvatore".

Affermare, come fa Paolo, che la salvezza è nella fede e non nelle opere non significa disimpegnare l'uomo, ma escludere la sufficienza dell'uomo.

Vivere di fede significa, in altri termini, due cose: riconoscere la propria radicale insufficienza ( da solo l'uomo è incapace di salvarsi ) e la ricchezza infinita della misericordia di Dio ( Cristo è la nostra salvezza ).

Per Paolo questo modo di vedere le cose è profonda libertà.

E difatti egli scrive nella Lettera ai Galati ( 5,1 ): "Per la libertà Cristo ci ha liberati".

L'uomo che vuole salvarsi con le proprie risorse cade inevitabilmente nell'ansia di riuscire: per Paolo la gioia e la libertà sono possibili unicamente là dove l'uomo rinuncia a ogni fiducia in se stesso per affidarsi a Cristo.

Colpisce, leggendo le lettere di Paolo, che egli parli continuamente di Cristo e soltanto di Cristo.

Non ha altro vero interesse.

Morte e vita, prigionia e libertà, tutto è considerato in rapporto a Cristo e al vantaggio del suo Vangelo ( Fil 1,18 ), e l'oggetto della sua speranza è di essere sempre col Signore ( 1 Ts 4,17 ).

E in Cristo che Dio comunica la sua carità ( Rm 8,35-39 ), la libertà ( Gal 5,1 ), la pace ( Fil 4,7 ), la conoscenza ( Ef 4,20 ) e la forza ( Ef 6,10 ).

Bisogna dunque "rimanere" in Cristo; il che non significa semplicemente prendere Cristo come modello, ma permettergli di diventare il principale protagonista della nostra personale esistenza.

Al punto che Paolo può dire: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" ( Gal 2,20 ).

Giovanni: "Il Verbo si è fatto carne"

Anche nel Vangelo di Giovanni, come in ogni altro Vangelo, la figura di Gesù emerge dal racconto della sua storia: la predicazione, i miracoli, le controversie con le autorità, la vita in comune con i discepoli, la passione, la morte e la risurrezione.

Ma la storia di Gesù nel quarto Vangelo è raccontata con rara profondità, certamente frutto di lunghe meditazioni e di una lettura credente particolarmente penetrante.

Così il ritratto di Gesù che ne risulta è, si può dire, il punto di arrivo dell'intero Nuovo Testamento.

"Il Verbo si è fatto carne", si legge nel prologo al Vangelo ( 1,14 ), "e abitò fra noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria".

Per capire questa fondamentale affermazione può essere utile ricostruire l'ambiente che essa suppone e nei confronti del quale è fortemente polemica.

Il mondo greco parlava di una radicale separazione fra l'umano e il divino, lo spirito e la materia.

Per il greco l'assunzione della natura umana da parte di Dio era un'assurdità.

L'uomo stesso era invitato a liberare il proprio spirito considerato una scintilla divina imprigionata nella materia e a disagio in un'esistenza che non le è conforme.

Non dunque un movimento di immersione nella storia, che è, appunto, il cammino del Verbo che si fa carne, ma al contrario un movimento di ascesa e di liberazione verso l'alto.

A questo modo di ragionare Giovanni oppone la sua lapidaria affermazione "Il Verbo si è fatto carne".

Nel linguaggio biblico la parola carne non indica il corpo dell'uomo contrapposto all'anima, ma l'uomo intero colto nei suoi risvolti di caducità, debolezza, divenire, sofferenza e morte.

Per Giovanni, la serietà dell'incarnazione è un dato centrale per comprendere l'identità di Cristo: vero Dio e vero uomo, si direbbe oggi in altri termini.

Nella sua Prima lettera ( 4,1-6 ) Giovanni polemizza anche contro alcune tendenze interne alla stessa comunità cristiana, tendenze che probabilmente venivano sollecitate dal desiderio di aggiornare il dato tradizionale della fede per poter più facilmente dialogare con la cultura dell'epoca.

Certuni sostenevano che il Cristo non avesse veramente assunto la natura umana, ma se ne fosse semplicemente rivestito per rendersi visibile e mostrarsi all'uomo.

A queste tendenze teologiche Giovanni oppone il dato della tradizione: "Ogni spirito che riconosce che Gesù è venuto nella carne è da Dio".

La piena solidarietà del divino e dell'umano, non è, però, ancora sufficiente a definire l'identità della persona di Gesù.

C'è un altro aspetto essenziale da prendere in considerazione: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio" ( 1,1 ).

Affermazione che si può parafrasare in questo modo: il Verbo esiste da sempre ( di quel tipo di esistenza - "era" - che è proprio di Dio e si distingue dall'esistenza della creatura, che è espressa col verbo essere fatto, divenire ) ed esiste vicino e rivolto al Padre.

"Rivolto al Padre", e non soltanto vicino, è una sfumatura che è presente nel testo greco, e che purtroppo le traduzioni italiane generalmente trascurano.

L'evangelista vuoi dirci che nella sua essenza più intima il Figlio è relazione, ascolto, slancio, obbedienza, perennemente rivolti al Padre.

Questo è talmente importante che l'evangelista lungo il Vangelo approfitta di ogni occasione per metterlo in luce.

Il Gesù di Giovanni non è solo il Figlio incarnato, inviato al mondo e che ha assunto pienamente la condizione di uomo, è il Figlio obbediente che - divenuto uomo - continua a vivere nella sua esistenza umana la sua più intima vocazione, che è l'obbedienza e l'ascolto del Padre.

L'obbedienza dell'uomo Gesù è la trascrizione storica della sua condizione di Figlio, la riproduzione fra noi di quell'atteggiamento di "rivolto al Padre" che egli vive da sempre in seno alla Trinità.

Per questo Gesù è la "trasparenza" del Padre.

E per questo è portatore di una rivelazione decisiva, nell'ascolto o nel rifiuto della quale l'uomo gioca il proprio destino.

Nel capitolo 6 ( che è un'omelia in cui Giovanni spiega il senso dell'intera vita di Gesù ) vengono indicate le due coordinate entro le quali la sua esistenza si è svolta: Gesù è il pane che viene dal cielo ( ecco la sua origine divina ) ed è il pane per la vita del mondo ( ecco la direzione della sua esistenza ).

L'esistenza di Gesù di Nazaret non mostra soltanto che egli è il Figlio di Dio divenuto uomo, neppure semplicemente che egli è in tutto e per tutto la trasparenza del Padre, ma anche che egli ha vissuto un'esistenza in dono: "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo" ( 6,51 ).

La stessa concezione riappare in 10,1-18, dove si parla del pastore che da la vita per le pecore, e nella parabola del chicco di grano che per fruttificare deve prima morire ( 12,24 ).

Gesù ha vissuto la propria esistenza come una donazione, e questo perché è nella donazione che si svela la realtà di Dio, che ha il volto dell'amore.

Nel Vangelo di Giovanni Gesù fa lunghi discorsi: alla folla, ai giudei e ai discepoli.

Discorsi che culminano costantemente in parole come queste: "Io sono la luce del mondo" ( 8,12 ); "Io sono il pane della vita" ( 6,48 ); "Io sono la risurrezione e la vita" ( 11,25 ); "Io sono la via, la verità e la vita" ( 14,6 ); "Io sono la vera vite" ( 15,1 ).

Si tratta di affermazioni simboliche e, come si può facilmente intuire, sono simboli universali, presenti in tutte le religioni e in tutte le culture: esprimono la ricerca dell'uomo, la sua ansia di salvezza, le sue domande sul senso dell'esistenza.

Luce, pane, vita erano simboli diffusi nel mondo biblico e giudaico come pure nel mondo greco.

Probabilmente Giovanni se ne è servito per parlare contemporaneamente alle due culture.

Ed ecco il messaggio: Cristo è alla ricerca dell'uomo, non altri.

Dicendo "il pane sono io" Gesù afferma di essere ciò di cui l'uomo ha bisogno e, nel contempo, prende le distanze da ogni altra ricerca e pretesa di salvezza.

Nelle formule con "io sono" c'è una pretesa ( Gesù è la salvezza dell'uomo ) e una polemica ( solo Gesù è salvezza dell'uomo ).

Un messaggio chiaro, come si vede, senza sfumature, in bianco e nero.

Ma non è un messaggio integri sta.

Solo Gesù è la vera luce, ma questo non significa che al di fuori di lui ci siano soltanto le tenebre.

Le ricerche dell'uomo non possono essere la conclusione, non sono la parola ultima ( se lo pretendessero diverrebbero per Giovanni idolatria ), possono però essere avvio e preparazione, parola penultima.

Così - per fare un esempio - è il giudaismo nei confronti di Cristo ( 1,17 ).

Così il Battista: non era la luce vera, ma il testimone della luce ( 1,8 ).

Nella conclusione del prologo al Vangelo ( 1,18 ), Giovanni afferma - fedele in questo a tutta la tradizione biblica - l'invisibilità di Dio.

Ma subito aggiunge che il Figlio unigenito, che viene da Dio, che ha visto Dio e continua a vederlo, ce ne ha parlato.

Il Verbo fatto carne è l'esegeta del Padre.

A Filippo che aspirava a una visione religiosa più alta e più dimostrativa ( "mostraci il Padre" ), Gesù risponde: "Chi vede me, vede il Padre" ( 14,8-9 ).

Gesù è la via al Padre ( 14,6 ).

Il Padre non è accessibile che in Gesù, perché è solo in lui ( concretamente nella sua persona e nella sua esistenza storica, nelle sue opere, nelle sue parole, nella sua comunità ) che l'invisibilità di Dio si è dissella: il Dio invisibile ci è venuto vicino, raggiungibile e conoscibile.

Gesù è il Signore

Una ricostruzione della figura di Gesù Cristo, così come si può leggerla nelle testimonianze di fede delle comunità cristiane delle origini, deve attirare l'attenzione su un'espressione brevissima, e molto antica, che bene esprime la fede e l'attesa dei primi cristiani.

La formula è "Signore Gesù", due semplici parole che dicono molte cose.

Il nome "Gesù" rinvia alla storia di Gesù di Nazaret - una storia vera, non un mito, accaduta in un tempo preciso e in un luogo preciso - che Pietro nel suo discorso in casa del pagano Cornelio concentra in poche battute ( At 10,38-41 ): ..."Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con Lui.

E noi siamo testimoni di tutte le cose da Lui compiute nella regione dei giudei e di Gerusalemme.

Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con Lui dopo la sua risurrezione".

"Signore", non dice soltanto che Gesù di Nazaret è risorto, ma che continua ora a vivere nella sua comunità e nel mondo, Salvatore di tutti gli uomini e Signore della storia, come suggerisce un antichissimo inno liturgico che si legge nella lettera di Paolo ai Filippesi ( 2,6-11 ): "Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sottoterra, e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre".

La riflessione teologica dei primi concili ecumenici

Il "credo" cristologico delle origini

Al punto di partenza dello sviluppo dogmatico su Gesù Cristo sta l'annuncio di fede del Nuovo Testamento: il "credo" cristologico della comunità delle origini è compendiato nelle formule che esprimono l'evento centrale e decisivo della risurrezione del Crocifisso.

La confessione "Gesù è il Signore" testimonia l'inaudita identità nella contraddizione, che è stata sperimentata quando nel Risorto si è riconosciuto l'umile Nazareno, e che è alla base della rilettura pasquale della sua vita e morte, della storia d'Israele prima di lui e della vicenda della Chiesa e del mondo.

A partire dalla risurrezione il primitivo "credo" cristologico abbraccia la storia della passione, la sepoltura, le apparizioni ( 1 Cor 15,4 s. ), e traduce il significato teologico di questi eventi in un linguaggio narrative-concreto: il significato escatologico di quanto è avvenuto nel Crocifisso-Risorto viene reso con le idee del risuscitamento "al terzo giorno" ( 1 Cor 15,4 ), della discesa agli inferi ( 1 Pt 3,19 ) e dell'ascesa al cie10 ( At 1,9; At 2,33; 1 Pt 3,22 ).

Il primato della prospettiva storica su quella concettua le-metafisica, degli eventi sull'essere è evidente: la struttura portante del "credo" cristiano originario - l'identità nella contraddizione fra il Gesù terreno e il Cristo dell'esperienza pasquale - viene espressa nella narrazione della storia di Pasqua e delle meraviglie in essa compiute dal Dio della promessa nel suo servo e Figlio Gesù.

Come per Israele, così per la Chiesa nascente confessare il proprio Signore significa narrarne le gesta ( analogamente alla confessione di fede del popolo dell'antica alleanza: "Ascolta Israele..." in Dt 5,11 ss. ).

Dalla generazione successiva agli apostoli al II secolo

Il "credo" cristologico delle origini si viene consolidando nell'età immediatamente successiva agli apostoli in un modello ben definito, che riunisce gli elementi menzionati nelle formule bibliche, ma dedica una sempre più forte attenzione alla nascita verginale da Maria, che culminerà successivamente nelle formule che sottolineano la nascita eterna di Gesù dal Padre.

Un esempio significativo di questo tipo di "credo" si riscontra nella professione trinitaria di fede, adoperata nel rito battesimale e conosciuta col nome di Simbolo apostolico: eccola nella forma riportata da Ippolito Romano, rimasta pressoché definitiva per i latini: "Credi in Cristo Gesù, Figlio di Dio, che è nato di Spirito Santo da Maria vergine, fu crocifisso sotto Ponzio Pilato e morì e fu sepolto, e risorse il terzo giorno vivo dai morti; e ascese nei cieli e siede alla destra del Padre, ( e ) verrà a giudicare i vivi e i morti?".

Lo sviluppo di questo testo è chiaramente storico-narrativo: dalla preesistenza ( indicata mediante il titolo Figlio di Dio ) si passa all'incarnazione, passione, morte e risurrezione, allo stato glorioso del Risorto, al suo ritorno definitivo.

Anche qui si narra una storia, che, perfettamente umana ( storia di nascita, dolore e morte, in un tempo e luogo determinato: "sotto Ponzio Pilato" ), è nondimeno la storia del Figlio di Dio.

L'identità nella contraddizione, propria dell'annuncio pasquale, è fedelmente trasmessa mediante la narrazione degli eventi in cui si sviluppa la vicenda del Crocifisso-Risorto.

Il significato salvifico del Cristo per noi è parimenti evidenziato attraverso espressioni quali "siede alla destra del Padre" e "verrà a giudicare i vivi e i morti", che, mentre dicono la presenza sempre viva e potente del Risorto presso il Padre per noi, sottolineano il fatto che Egli è il Signore della promessa e del futuro ultimo e definitivo.

Per cogliere la risonanza che queste formule avevano nella Chiesa del II sec. è necessario accennare al contesto teologico in cui venivano professate: non pochi erano stati i tentativi di vanificare lo scandalo contenuto nella contraddizione proclamata a Pasqua.

Docetisti ed ebioniti, movimenti ereticali delle origini cristiane, pur procedendo in direzioni opposte, partivano dalla medesima esigenza: salvaguardare la divinità di Dio, sfera incontaminata dalla materia per il dualismo dei docetisti, eredità preziosa d'Israele per gli ebioniti.

A tal fine i docetisti negavano la vera umanità di Gesù Cristo ( ridotta ad apparenza ), mentre gli ebioniti sminuivano la sua condizione divina, facendone una semplice creatura.

Queste due tendenze si esprimono anche nelle cristologie adozioniste e gnostiche del II sec.: le prime, sotto l'influsso del rigido monoteismo ebraico, vedono nel Nazareno un semplice uomo, che ha ricevuto da Dio una vocazione del tutto particolare ed è stato da lui assunto, "adottato" come Figlio.

Le seconde risentono dell'impatto con la gnosi, che esercita uno straordinario fascino in questo tempo: connessa con lo spirito della paidéia ( la formazione dell'uomo ) greca, la gnosi è un'offerta di salvezza attraverso la via di una conoscenza superiore, che libera dalla schiavitù della materia e riporta lo spirito umano verso la sua origine divina.

Si tratta dunque di un'antropologia soteriologica a marcato carattere dualistico, che in ambiente cristiano, si traduce nel riconoscimento in Cristo del Redentore, inteso però come portatore di salvezza che proviene dall'alto e deve contaminarsi il meno possibile con la negatività della materia.

Di conseguenza, la gnosi tende a sminuire o a negare del tutto la vera umanità di Gesù.

A questi opposti riduzionismi la semplicità narrativa degli antichi simboli suonava scandalosa e critica: il racconto della storia umana del Figlio di Dio, se da una parte significava il rifiuto di eliminare l'uno o l'altro dei due poli della contraddizione pasquale, dall'altra ribadiva l'identità inaudita fra Crocifisso e Risorto, senza svuotare "la parola della Croce", ma anche senza vanificare la novità e la forza della risurrezione.

Il mantenimento dell'identità nella contraddizione nella storia di Gesù Cristo è perciò il grande merito dei pastori e maestri della Chiesa del II sec.: da Ignazio di Antiochia e Ireneo di Lione, per fare solo due nomi, la profondità dell'antitesi e la potenza della sintesi fra umano e divino nell'Umiliato-Esaltato, vengono affermate con vigore e, specialmente da Ireneo, estese a comprendere l'intera vicenda umana.

Il concilio di Nicea

Il III sec. porta con sé un nuovo, diverso sviluppo delle tendenze che cercano di ridurre la totalità complessa del mistero di Cristo.

A Roma, dapprima Prassea, poi Sabellio, sviluppano un'interpretazione che si collega a quella doceta: il "modalismo".

La storia umana di Gesù viene interpretata come una teofania della divinità, ovvero come il "modo" secondo cui l'unico Dio appare in mezzo agli uomini.

Così sembra salvaguardato il monoteismo ( interpretato come "monarchianismo", come unicità cioè del principio divino che si manifesta in modi diversi ) e risolto il problema dell'unità di Cristo.

Ancora una volta, però, il risultato ottenuto, se appare coerente con una logica razionale, vanifica il paradosso della fede cristiana.

Lo stesso può dirsi di quella che è la forma opposta del modalismo: l'adozionismo, che nel sec. III ha in Paolo di Samosata il suo assertore più lucido.

Non si nega che Cristo sia Dio: si afferma solo che lo è divenuto, allorché il Padre ha colmato col suo Spirito quest'uomo unico ed esemplare.

Anche qui ci si trova di fronte a una forma di monarchianismo, che però non sostiene un manifestarsi divino fra gli uomini, ma un divenire Dio dell'uomo Gesù.

A Paolo di Samosata, tramite il proprio maestro Luciano di Antiochia si collega nel IV sec. Ario: egli riconosce in Cristo non semplicemente un uomo adottato da Dio, ma il Figlio, creato dal Padre prima della creazione del mondo.

Chiamato all'esistenza prima di tutte le cose, egli svolge il ruolo di mediatore e strumento nell'opera creatrice.

In quanto creatura, egli è essenzialmente diverso dal Padre e gli è dato di poter divenire, e perciò incarnarsi e patire.

In quanto prima ed eccelsa fra le creature, egli può assumere la carne, prendendo il posto dell'anima umana nell'uomo Gesù, e offrirsi così come redentore e modello per tutti gli uomini.

Ponendo il Figlio dalla parte delle creature, sebbene in posizione di priorità rispetto a esse e di mediazione fra Dio e il mondo, Ario soddisfa le esigenze del pensiero medio-platonico, ma dissolve lo scandalo cristiano dell'identità nella contraddizione fra il Nazareno crocifisso e il Figlio di Dio.

A queste diverse tendenze riduzioniste la fede della Chiesa risponde attraverso l'opera dei Padri dei seco. III-IV, che confluisce nel solenne "credo" del concilio di Nicea ( 325 ).

Eccone le affermazioni riguardanti il Cristo: "Crediamo... in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, generato come unigenito dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, consostanziale ( omooùsion ) al Padre, per mezzo del quale tutte le cose furono create, quelle nel cielo e quelle sulla terra, il quale per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso e si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito, ed è risorto al terzo giorno, è asceso nei cieli, ( e ) verrà a giudicare vivi e morti".

Il testo è articolato in due sezioni: la prima confessa la preesistenza del Signore Gesù, la sua uguaglianza col Padre e il suo ruolo nella creazione; la seconda riprende la storia dell'Incarnato, Crocifisso e Risorto, che costituiva la materia esclusiva dei simboli più antichi.

La prima sezione è caratterizzata da un linguaggio astratto, da enunciati sull'essenza; la seconda da un linguaggio concreto, che narra gli eventi.

La prima sezione - che è l'innovazione di Nicea nei confronti dei simboli più antichi - si può comprendere nei contenuti e nel linguaggio solo in rapporto agli interrogativi aperti dalla crisi ariana: l'intenzione che guida i padri niceni consiste nel fare luce sul modo di intendere i rapporti fra il Padre e il Figlio.

Proclamando la divinità di Gesù Cristo, il concilio prende le distanze dall'ellenizzazione della fede cristiana, rappresentata dalla tesi ariana di un Figlio creato, intermediario tra Dio e mondo.

Il significato del termine omooùsios va determinato in tale contesto: assente nella Scrittura, passato dal mondo gnostico a quello teologico cristiano, specialmente alessandrino, il termine vuoi significare semplicemente, contro la riduzione ariana, che il Figlio sta nello stesso grado di essere del Dio trascendente.

Ora, questo Figlio, che sta dalla parte di Dio, "Dio vero da Dio vero", è il soggetto anche della seconda sezione, dove è ripreso lo schema orizzontale e storico dei simboli più antichi.

Questo collegamento modifica profondamente la struttura della confessione di fede tradizionale: la narrazione degli eventi diviene un piano, collegato verticalmente all'altro piano, quello della preesistenza.

Allo schema storico-orizzontale, caratteristico degli antichi simboli, succede uno schema metafisico-verticale, che congloba la sezione narrativa, ma ne riduce il peso a favore di un'attenzione più concettuale, ontologica.

In altre parole, il Cristo in sé, colto nella consustanzialità con il Padre, viene a sovrapporsi al Cristo morto e risorto per noi.

Pertan to, contro gli opposti riduzionismi ( modalismo, adozionismo, arianesimo ), il concilio di Nicea conserva nel loro rapporto di identità i due poli della contraddizione pasquale: il Figlio consostanziale al Padre è colui che ha vissuto la vera storia che va dall'incarnazione all'ascensione, e che è in certo modo ancora in via di compimento, fino a quando egli "verrà a giudicare vivi e morti".

Contro Ario, anche se nell'ambito dello stesso schema Verbo-carne, si muove Apollinare di Laodicea, il quale sottolinea come il Figlio sia altro dal Padre e insieme eterno come lui.

Diversamente però dalla fede espressa nel Simbolo niceno, Apollinare sminuisce la vera umanità del Cristo, perché ritiene che con l'incarnazione il Verbo abbia preso il posto dell'anima umana, in modo da "abitare nella carne".

L'apollinarismo viene rifiutato dalla fede ecclesiale in nome del principio dello "scambio" ( centrale, per esempio, nel pensiero del grande paladino di Nicea, Atanasio ), secondo il quale se il Verbo non avesse assunto una natura umana completa non avrebbe neanche salvato completamente l'uomo, perché "ciò che non è assunto, non è salvato".

Il primo concilio di Costantinopoli ( 381 ) riprende nel suo simbolo quello niceno e gli da la forma definitiva, col quale è ancor oggi professato ( Simbolo niceno-costantinopolitano ).

Il concilio nomina esplicitamente gli apollinaristi fra gli eretici condannati.

Così la fede di Nicea-Gostantinopoli, pur in una nuova accentuazione della struttura ontologica del Cristo, non riduce il paradosso cristiano, non svuota la parola della Croce ne l'inaudita forza della risurrezione, ma le mantiene unite nello scandalo dell'identità nella contraddizione proclamata a Pasqua.

Il concilio di Calcedonia

Il V sec. conosce i frutti estremi delle due scuole, che caratterizzano il pensiero cristologico dell'età patristica, Alessandria ed Antiochia.

La scuola antiochena, sviluppatasi particolarmente all'insegna della difesa entusiasta del Simbolo ni ceno, risente dell'influsso della filosofia aristotelica e di un'esegesi attenta alla concretezza del dato biblico: essa accentua di conseguenza la distinzione della divinità dalla concreta umanità del Signore Gesù.

Dio viene distinto dall'uomo, la Parola dal Tempio in cui essa abita.

Su questa linea, Nestorio, patriarca di Costantinopoli, affermando secondo la fede nicena la piena e vera divinità di Cristo, vuole al contempo prendere sul serio la sua piena e vera umanità.

Allo schema Verbo-carne, rivelatesi riduttivo nella soluzione ariana e in quella apollinarista, egli contrappone lo schema Verbo-uomo, costruito simmetricamente sull'autonomia dei due poli, l'umano e il divino.

Così l'uomo Gesù viene riconosciuto in tutta la concretezza con cui lo presentano i Vangeli, senza per questo rinnegare il fatto che Cristo sia Dio.

La contraddizione pasquale è mantenuta: quello che fa problema è però l'unità-identità del Cristo.

Nestorio propone in proposito un'unità morale, fondata sulla totale armonia di volontà e d'azione delle componenti divina e umana, o un'unità di inabitazione, per cui l'uomo Gesù ospiterebbe il Verbo come un tempio: ma la sua resta una cristologia della separazione, che perciò non può accettare per Maria il titolo di "madre di Dio" ( in greco: theotòkos ), ma al massimo quello di "madre di Cristo".

E a partire dalla controversia su questo titolo che si sviluppa l'opposizione a Nestorio, che soprattutto nell'opera di Cirillo d'Alessandria riflette il mondo di pensiero dell'altra grande scuola teologica di Alessandria.

Gli alessandrini, influenzati filosoficamente dal platonismo e, sulla scia di Origene, impegnati in un'esegesi che vuole incessantemente cogliere con la lettera lo spirito delle Scritture, accentuano l'unità del divino e dell'umano in Gesù Cristo.

Partendo da queste prospettive, non appare strano che Nestorio sia visto come il dissolutore della fede cristiana, e la sua condanna nel concilio di Efeso del 431 come il trionfo della cristologia alessandrina dell'unione.

L'estrema espressione della tendenza che trionfa a Efeso si rivela tuttavia nel "monofisismo": Eutiche, archimandrita dei monaci di Costantinopoli favorevoli alle tesi di Cirillo contro il nestorianesi mo, appellandosi a testi indubbiamente equivoci di Cirillo, sottolinea a tal punto l'unità di
Cristo, da parlare di una sola natura ( in greco: mìafusis, donde il nome di questa dottrina ), che si darebbe in lui dopo l'unione.

Di conseguenza, il termine theotòkos, attribuito a Maria, diviene il cavallo di battaglia dei monofisiti.

L'unità del Signore Gesù è così senza dubbio affermata: ma la contraddizione pasquale è dissolta in una confusione-assimilazione di umano e divino.

A questi diversi riduzionismi la fede della Chiesa risponde solennemente nel concilio di Calcedonia ( 451 ), attraverso una definizione che, sebbene più di ogni altra abbia avuto influenza nella storia della cristologia, non è mai stata una professione di fede liturgica: "Seguendo i santi Padri, tutti unanimemente insegnarne che sia confessato un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, lo stesso perfetto in divinità, e lo stesso perfetto in umanità, lo stesso veramente Dio, e veramente uomo di anima razionale e di corpo, lo stesso consostanziale al Padre secondo la divinità, e consostanziale a noi secondo l'umanità, in tutto simile a noi eccetto il peccato, lo stesso generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, ( generato ) negli ultimi giorni per noi e per la nostra salvezza da Maria la Vergine, la Madre di Dio, secondo l'umanità; un solo e medesimo Cristo Figlio, Signore, Unigenito, riconosciuto in due nature senza mescolanza ne trasformazione, senza divisione ne separazione, senza che per l'unione la differenza delle nature sia tolta, salva anzi la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo ( ciascuna ) in un'unica persona e in una sola ipostasi, non separato o diviso in due persone ma l'unico e medesimo Figlio Unigenito Dio Verbo, il Signore Gesù Cristo, secondo quanto un tempo i profeti insegnarono di lui e lo stesso Gesù Cristo ci insegnò, e il simbolo dei Padri ci trasmise".

Questo testo appare subito caratterizzato da un orientamento speculati ve-ontologico: manca del tutto la sezione storico-narrativa, presente ancora nel Simbolo niceno-costantinopolitano.

Alla narrazione degli eventi è sostituita completamente l'enunciazione della struttura metafisica del Cristo.

Al linguaggio concreto dei primi simboli e della seconda parte della professione nicena, succede un linguaggio concettuale; alla prospettiva storico-dinamica dei tempi della vicenda del Crocifisso-Risorto si oppone una prospettiva essenzialista-statica, che guarda alle due nature nell'unità del soggetto.

La prima parte ( che va fino alla generazione da Maria ) presenta un marcato parallelismo simmetrico di quattro elementi, evidenziato dalla ripetizione del pronome "lo stesso", che esprime con efficacia in termini concettuali la struttura delle primitive formule di fede storico-narrative: l'unico e medesimo Gesù Cristo è affermato come soggetto dei predicati divini e umani.

La stessa identità nella contraddizione soggiace alla struttura della seconda parte, in cui con un movimento di affermazioni e negazioni successive, si afferma l'unicità di persona del "solo e medesimo Cristo" e la dualità delle nature ( divina e umana ), fra le quali non c'è mescolanza, ne mutua trasformazione ( contro la confusione monofisita ) e nemmeno divisione o separazione ( contro il dualismo nestoriano ).

In tal modo il concilio di Calcedonia ha raccolto i risultati dell'elaborazione cristologica dei primi secoli.

Pur senza determinare il significato delle espressioni "natura" e "persona", il testo indica con "persona" chi è Gesù Cristo, cioè il Figlio eterno, e con la dualità di "natura" che cosa egli è, uguale con il Padre fin dall'eternità e uguale per natura a noi in forza dell'incarnazione.

Affermando in Cristo l'unità ( personale ) nella dualità ( di nature ) il concilio di Calcedonia non ha fatto altro che tradurre in categorie statico-concettuali l'identità nella contraddizione espressa in maniera storico-dinamica nelle formule pasquali.

Il paradosso cristiano non è stato dissolto: il Cristo in sé, presentato nella sua struttura metafisica, non si oppone al Cristo nato, morto, risorto e asceso al cielo per noi.

Se è vero che la dimensione salvifica è accennata ormai solo nella formula stereotipa del "per noi e per la nostra salvezza", bisogna anche osservare che la definizione conciliare si ricollega esplicitamente alla tradizione delle Scritture e dei Padri, nei quali l'interesse a Cristo ha sempre una pregnante motivazione di salvezza.

E tuttavia non si può negare che la formula di Calcedonia porta i segni di un compromesso: se essa ha espresso gli aspetti di verità di tutt'e due gli indirizzi della cristologia della Chiesa antica, mantenendo la tensione espressa nelle originarie formule della fede pasquale, ha anche trasposto il messaggio cristiano in un orizzonte culturale e in un linguaggio nuovi e diversi rispetto a quelli del Nuovo Testamento.

In tal senso Calcedonia rappresenta un esempio di traduzione della fede cristologica nelle categorie della cultura del tempo, in particolare di quella greca, ma anche di indebolimento della carica dinamica e narrativa dell'originario annuncio biblico, che era fortemente centrato sul valore esistenziale e salvifico della storia di Gesù.

Questo processo non è naturalmente casuale: esso corrisponde al differente clima culturale e alla diversa situazione sociale e politica in cui o venuta a trovarsi la Chiesa.

Sul piano ideologico-culturale l'impatto col mondo greco produce un indubbio processo di ellenizzazione del cristianesimo: il messaggio neotestamentario viene ripensato nelle categorie statico-ontologiche della filosofia greca.

Tuttavia non è possibile interpretare questo processo come una radicale perdita di identità dell'originario messaggio cristiano, quasi che il dogma non sia altro che un "frutto dello spirito greco, maturato sul terreno del Vangelo" ( A. von Harnack ).

Insieme alla ellenizzazione del linguaggio e della mentalità c'è una de-ellenizzazione, un'azione critica esercitata dall'ortodossia cristiana nei confronti della cultura greca.

Gli esempi sono numerosi: così l'idea del Dio personale infrange il concetto ellenistico del divino; parimenti, se la patristica adotta l'ideale greco della paidèia, l'educazione vista come raggiungimento della vera umanità e libertà, essa lo verifica in base al cristianesimo e lo cristianizza grazie all'idea di persona e alla conseguente enfasi sulla libertà.

L'uomo non si divinizza da sé, ma in quanto Dio ha scelto nella libertà del suo amore di umanizzarsi.

Così, pur avvalendosi di terminologia ellenistica, il cristianesimo introduce nel mondo di pensiero greco idee fondamentali e a esso completamente estranee, quali appunto il concetto di persona, utilizzato a Calcedonia per indicare l'unico soggetto in Cristo, o l'idea della storia come sviluppo lineare e non ciclico, presente nella fede in Colui, che "verrà a giudicare vivi e morti".

Se dunque la destoricizzazione è il frutto dell'impatto del cristianesimo col mondo culturale greco ellenistico, essa non significa assolutamente perdita di identità della fede cristiana: il paradosso pasquale, custodito nonostante tutto nella struttura del dogma contro tutti gli opposti riduzionismi ereticali, produce i suoi frutti critici nello stesso orizzonte culturale in cui entra.

In tal senso, l'ortodossia ha avuto spesso nella Chiesa antica una libertà e una funzione critico-profetica, che nessuna proposta ereticale, apparentemente innovatrice e moderna, ha saputo uguagliare.

Sul piano socio-politico, la destoricizzazione della fede d'istologica è certamente anche connessa con la pace tra impero e cristianesimo voluta da Costantino, col divenire la Chiesa parte del sistema dell'impero, e con la conseguente perdita della forza dirompente e critica delle origini.

Prassi ecclesiale e cristologia si condizionano reciprocamente: la Chiesa, divenuto il cristianesimo religione dell'impero, avverte naturalmente molto meno la tensione escatologica, la centralità della risurrezione, il valore esistenziale e provocatorio degli eventi salvifici, l'estraneità critica conseguente all'essere nel mondo, ma non del mondo.

Peraltro, un certo entusiasmo apocalittico nell'adempimento delle promesse, presente nelle origini cristiane, si prestava a incontrarsi con l'idea greca della presenza dell'eterno, caratteristica per esempio dei culti misterici: il futuro promesso viene così riconosciuto già presente nell'esperienza del culto e in spirito.

Così la storia perde il suo orientamento escatologico.

Parallelamente a questa perdita di mordente profetico, la riflessione teologica perde anche in interesse esistenziale e diviene sempre più teologia delle scuole, strumentalizzata spesso a fini politici e lontana dalla fede delle masse.

Va sottolineato tuttavia che anche sotto questo profilo non si può parlare di una radicale dissoluzione del messaggio evangelico nelle condizioni storiche: e questo perché la vivente trasmissione della fede ecclesiale, proclamata nell'annuncio, creduta nella fede e celebrata nel culto, resta l'orizzonte ultimo di comprensione del dogma, che anche nella sua forma più concettuale e astratta si richiama alla tradizione viva dei profeti, dei Vangeli, dei Padri.

Questo rapporto sempre vivo con le sorgenti e l'esperienza del Cristo vivente, fatta nella comunità annunciante e celebrante e ricca di imprevedibili risorse, se da una parte impedisce, anche nella Chiesa fortemente politicizzata e fatta sistema dell'era costantiniana, la riduzione del paradosso cristiano a uno degli orizzonti di pensiero e di azione del mondo, dall'altra saprà suscitare in ogni tempo fermenti di rinnovamento e di riforma nella Chiesa e nella società.

È nel mantenimento dello scandalo pasquale, nel proclamare ancora l'inaudita identità nella contraddizione del Signore col Servo ( o unità nella dualità, come si esprime il concilio di Calcedonia ) che il dogma non tradisce il erygma, anche se lo traspone e lo reinterpreta nell'orizzonte di un universo culturale, sociale e politico diverso.

Il concilio di Calcedonia segna il momento culminante nell'elaborazione dogmatica della figura del Cristo: alcune comunità cristiane non accetteranno le formulazioni di Calcedonia e daranno vita alle Chiese cosiddette non calcedoniane.

Per la successiva riflessione teologica sul Cristo rimandiamo alla voce cristologia.

Che cosa Gesù dice di se stesso

Dopo aver compiuto un miracolo, non di rado Gesù impone a coloro che ha guarito, o agli stessi discepoli, di non divulgare ciò che è avvenuto.

Egli vuole evidentemente evitare che la manifestazione della sua potenza induca in errore: potrebbero vedere in lui soltanto un personaggio straordinario capace di liberare con prodigi dai mali presenti.

Egli intende piuttosto fornire dei segni perché chi è disponibile a vedere e ad ascoltare riconosca in lui il Liberatore e il Salvatore in un senso infinitamente più grande.

Consapevole di essere una cosa sola con Dio, lascia trasparire la sua natura divina per accenni e per allusioni discrete, se si eccettua la solenne ed esplicita dichiarazione davanti al Sinedrio al momento della sua condanna:

Mt 26,63-64: Allora il sommo sacerdote gli disse: "Ti scongiuro per il Dio vivente, perché tu ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio".

"Tu l'hai detto", gli rispose Gesù, "anzi io vi dico: d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo".

Raccogliamo qui di seguito alcune parole di Gesù che alludono al mistero della sua persona:

Mt 16,13-17: Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarea di Filippo, chiese ai suoi discepoli: "La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?".

Risposero: "Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti".

Disse loro; "Voi chi dite che io sia?".

Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente".

E Gesù: "Beato tè, Simone figlio di Giona, perché ne la carne ne il sangue tè l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli".

Mt 21,37-39 ( Parabola dei vignaioli omicidi ): Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: "Avranno rispetto di mio figlio!".

Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: "Costui è l'erede; venite uccidiamolo, e avremo noi l'eredità".

E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero.

Mt 26,26-29 ( L'Ultima Cena ): Ora, mentre essi mangiavano.

Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: "Prendete e mangiate; questo è il mio corpo".

Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: "Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.

Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò di nuovo con voi nel Regno del Padre mio".

Gv 4,25-26 ( Incontro con la Samaritana ): Gli rispose la donna: "So che deve venire il Messia ( cioè il Cristo ): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa".

Le disse Gesù: "Sono io che ti parlo".

Questa ultima risposta di Gesù può essere tradotta in modo più letterale: "Io, che ti parlo, ( Io ) sono" con probabile allusione all'"Io sono" di Esodo 3,14, con cui Dio risponde a Mosè che gli ha chiesto il Suo nome.

Gv 8,12: "Io sono la luce del mondo".

Gv 8,51-58 ( Discussione con i giudei ): "In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte".

Gli dissero i giudei: "Ora sappiamo che hai un demonio.

Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: 'Chi osserva la mia parola non conoscerà mai la morte'.

Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto?

Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?".

Rispose Gesù: "Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla: chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: 'È nostro Dio!', e non lo conoscete.

Io invece lo conosco.

E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi, un mentitore; ma lo conosco e osservo la sua parola.

Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò".

Gli dissero allora i giudei: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Àbramo?".

Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse. Io Sono".

Gv 10,35-38 ( Discussione con i giudei ): "Ora, se essa [ la Legge ] ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio ( e la Scrittura non può essere annullata ), a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?

Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre".

Gv 11,25-27 ( Episodio della risurrezione di Lazzaro; colloquio con Marta ): Gesù le disse: "Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno.

Credi tu questo?" Gli rispose: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, Figlio di Dio che deve venire nel mondo".

Gv 14,6 ( Risposta all'apostolo Tommaso ): "Io sono la via, la verità e la vita.

Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me".

Che cosa pensano di Gesù i suoi conterranei

Una rapida rassegna di ciò che la gente pensava di Gesù è contenuta nei versetti già citati di Mt 16,13-14.

Chi dice che è un profeta, ansi un "grande profeta" ( Lc 7,16 ), chi dice che è il Messia promesso: infatti molti si rivolgono a lui chiamandolo "Figlio di David", titolo popolare del Messia: per esempio: Mt 9,27: Mentre Gesù s'allontanava di là, due ciechi lo seguivano urlando: "Figlio di Davide, abbi pietà di noi".

Mt 15,22: Ed ecco una donna cananea, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: "Pietà di me.

Signore, figlio di Davide".

Mt 21,9-11: La folla che andava innanzi e quella che veniva dietro, gridava: Osanna sii figlio di Davide!

Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!

Entrato Gesù in Gerusalemme, tutta la città fu in agitazione e la gente si chiedeva: "Chi è costui?".

E la folla rispondeva: "Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea".

Lo stesso Erode è convinto che si tratti di Giovanni Battista redivivo.

Mt 14,1-2: In quel tempo il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù.

Egli disse ai suoi cortigiani: "Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; per ciò la potenza dei miracoli opera in lui".

Altri pensano invece che sia un demonio: Mc 3,22: Ma gli scribi che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: "Costui è posseduto da Beelzebul e scaccia i demoni per mezzo del principe dei demoni".

Lc 11,15: Ma alcuni dissero: "È in nome di Beelzebul, capo dei demoni, che egli scaccia i demoni".

Che cosa pensano di Gesù e del cristianesimo nascente i non cristiani della generazione successiva

Si riportano qui di seguito quattro celebri testimonianze ricavate dalle opere di scrittori non cristiani vissuti nei primi 70/90 anni trascorsi dalla crocifissione di Gesù.

Il primo passo è tratto dalle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio ( 35 d.C.-fine sec. I ), il maggiore storico ebreo, che vide la distruzione di Gerusalemme operata dai romani nel 70 d.C.

Scrisse la storia di quella guerra e, nell'opera sopra ricordata, anche la storia del popolo ebraico da Mosè a Nerone ( parte I, libri I-XI ), seguita da una storia universale ( parte II ): in quest'ultima parte ( libro XVIII,3,3 ) si trova il passo citato, che, pur senza prove decisive, parecchi studiosi ritengono sia stato ritoccato e integrato ( nelle parti qui poste tra parentesi ) da autori cristiani successivi.

Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo sapiente ( seppure bisogna chiamarlo uomo ).

Era infatti autore di opere straordinarie, maestro degli uomini che accolgono con piacere la verità: ed attirò a sé molti giudei e anche molti gentili. ( Costui era il Cristo ).

Ed avendolo Pilato condannato al supplizio della croce ( per denunzia degli uomini principali tra noi ), non cessarono di amarlo coloro che dal principio lo avevano amato.

( Egli infatti apparve loro il terzo giorno nuovamente vivo, avendo già detto i divini profeti queste e migliaia di altre cose mirabili a suo riguardo ).

E dura fino ai nostri giorni la setta di coloro che da lui sono chiamati cristiani.

Il secondo passo è tolto dal libro XV, 44 degli Annali di Publio Comelio Tacito ( 55-120 d.C. ).

Il grande storico romano del I sec. dell'impero riferisce, condividendola, dell'antipatia antiebraica e anticristiana largamente diffusa tra il popolo, che rende possibili forme di raffinata barbarie ai danni dei nuovi credenti.

Siamo nell'anno 63 d.C.; l'imperatore regnante è Nerone.

Ma ne soccorso umano, ne largizione imperatoria, ne sacrifici agli dèi valevano a soffocare la voce infamante che l'incendio fosse stato comandato.

Allora, per troncare la diceria, Nerone spacciò per colpevoli e condannò ai tormenti più raffinati quelli che le loro nefandezze rendevano odiosi e che il volgo chiamava Cristiani.

Prendevano essi il nome da Cristo, che era stato supplicato ad opera del procuratore Ponzio Pilato sotto l'impero di Tiberio: e quella funesta superstizione, repressa per breve tempo, riprendeva ora forza non soltanto in Giudea, luogo d'origine di quel male, ma anche in Roma, ove tutte le atrocità e le vergogne confluiscono da ogni parte e trovano seguaci.

Furono dunque arrestati dapprima quelli che professavano la dottrina apertamente, poi, su denuncia di costoro, altri in grandissimo numero furono condannati, non tanto come incendiari, quanto come odiatori del genere umano.

E quando andavano alla morte si aggiungevano loro gli schemi: si facevano dilaniare dai cani, dopo averli vestiti di pelli ferine, o si inchiodavano su croci, o si dava loro fuoco, perché ardessero a guisa di fiaccole notturne dopo il tramonto del sole.

Nerone aveva offerto per tale spettacolo i propri giardini e celebrava giuochi nel circo, frammischiato alla plebe in abito d'auriga, o prendeva parte alle corse, in piedi sul carro.

Per questo, sebbene si trattasse di colpevoli che meritavano castighi di una severità non mai veduta, pur nasceva un senso di pietà, in quanto essi morivano per saziare la crudeltà di uno, non per il bene di tutti.

Questa è la celeberrima lettera di Plinio il Giovane ( 62-114 d.C. ) all'imperatore Traiano.

Siamo negli anni 111-113 d.C.; Plinio. scrittore e senatore romano, ricopre in quel periodo la carica di governatore in Bitinia ( regione della Turchia settentrionale affacciata sul Mar Nero ) e si consulta per lettera con l'amico imperatore su come comportarsi nei confronti dei cristiani che stanno crescendo di numero in modo preoccupante.

Sono riportate per intero la lettera ( Libro X,96 ) e, di seguito, la breve risposta di Traiano ( Libro X.97 ).

Caio Plinio all'imperatore Traiano.

E mia abitudine, o signore, deferire al tuo giudizio tutti i casi sui quali rimango incerto.

Chi infatti sarebbe più indicato per dirigere la mia titubanza o per ammaestrare la mia incompetenza?

Non ho mai preso parte a nessuna istruttoria sul conto dei cristiani: pertanto non so quali siano abitualmente gli oggetti ed i limiti sia della punizione che dell'inchiesta.

Sono stato fortemente in dubbio se si debba considerare qualche differenza di età, oppure se i bambini nei più teneri anni vadano trattati alla stessa stregua degli adulti che hanno raggiunto il fiore della forza; se sia necessario dimostrarsi indulgenti davanti al pentimento, oppure se a chi sia stato effettivamente cristiano non serva a nulla l'avervi rinunciato; se si debba punire il nome in se stesso, anche quando sia immune da comportamenti vergognosi, oppure i comportamenti vergognosi connessi con il nome.

Provvisoriamente, a carico di coloro che mi venivano denunciati come cristiani, ho seguito questa procedura.

Li interrogavo direttamente se fossero cristiani.

Se confessavano, li interrogavo una seconda volta ed una terza volta, minacciando loro la pena capitale: se perseveravano, ordinavo chetassero messi a morte.

Ero infatti ben convinto che, qualunque fosse l'argomento della loro confessione, almeno la loro caparbietà e la loro inflessibile cocciutaggine dovevano essere punite.

Ci sono stati degli altri affetti dallo stesso genere di frenesia, che nella loro qualità di cittadini romani, ho condannati ad essere trasferiti a Roma.

Ben presto, siccome il rimestare tali questioni produsse automaticamente, come ovvia conseguenza, un accrescersi delle imputazioni, mi sono trovato dinanzi ad un certo numero di situazioni particolari.

Si pubblicò un manifesto anonimo che conteneva un elenco di molti individui.

Mi parve conveniente rimandare in libertà quelli che negavano di essere cristiani o di esserlo stati, quando invocavano gli dèi ripetendo le frasi che io formulavo per primo e veneravano, con un sacrificio d'incenso e di vino, la tua immagine che a questo fine avevo fatta portare insieme alle statue degli dèi, ed inoltre quando lanciavano imprecazioni contro Cristo: sono tutti atteggiamenti ai quali è opinione comune che non si possano indurre quanti sono effettivamente cristiani.

Altri, che erano stati denunziati da un delatore, dapprima proclamarono di essere cristiani, ma poco dopo lo negarono: lo erano bensì stati, ma avevano smesso di esserlo, alcuni da tre anni, altri da un numero d'anni ancora maggiore, qualcuno addirittura da venti.

Anche tutti costoro espressero la loro venerazione alla tua immagine ed alle statue degli dèi e lanciarono imprecazioni contro Cristo.

Attestavano poi che tutta la loro colpa, o tutto il loro errore, consisteva unicamente in queste pratiche: riunirsi abitualmente in un giorno stabilito prima del sorgere del sole, recitare tra di loro a due cori un'invocazione a Cristo quasi come se fosse un dio ed obbligarsi con giuramento, non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere ne furti, ne aggressioni a scopo di rapina, ne adulteri, a non eludere i proprii impegni, a non rifiutare la restituzione di un deposito, quando ne fossero richiesti.

Dopo aver terminato questi atti di culto, avevano la consuetudine di ritirarsi e poi di riunirsi di nuovo per prendere un cibo, che era, ad ogni modo quello consueto ed innocente: avevano però sospeso anche quest'uso dopo il mio editto con il quale, a norma delle tue disposizioni, avevo vietato l'esistenza di sodalizi.

Ciò tanto più mi convinse della necessità di indagare che cosa ci fosse effettivamente di vero, attraverso due schiave, che venivano chiamate diaconesse, ricorrendo anche alla tortura.

Non ho trovato nulla, all'infuori di una superstizione balorda e squilibrata.

Pertanto ho aggiornato l'istruttoria e mi sono affrettato a chiedere il tuo parere.

Mi è parsa infatti una questione in cui valesse la pena di domandare il tuo punto di vista, soprattutto in considerazione del gran numero di coloro che sono coinvolti in questo pericolo: molti di ogni età, di ogni ceto sociale, perfino di entrambi i sessi vengono trascinati, e lo verranno ancora, in una situazione rischiosa.

L'epidemia di questa deleteria superstizione è andata diffondendosi non solo negli agglomerati urbani, ma anche nei villaggi e nelle campagne; però sono d'avviso che si possa ancora bloccare e riportare sulla giusta via.

Almeno risulta assodato che i templi, i quali erano ormai quasi ridotti all'abbandono, hanno ricominciato ad essere frequentati, che le cerimonie sacre, da lungo tempo sospese, vengono di nuovo celebrate e che, un po' dovunque, si vende la carne delle vittime, per la quale finora capitava assai raramente di trovare un compratore.

Da questi fatti risulta facile pensare quale massa di gente possa essere ricuperata dall'errore, qualora le si lasci la possibilità di ravvedersi.

Questa la risposta dell'imperatore Traiano.

Troiano a Plinio.

Caro Plinio, la pista che hai seguita nell'istruire i processi contro quelli che ti sono stati deferiti come Cristiani è proprio quella alla quale dovevi attenerti.

Non si può infatti stabilire una norma generale che assuma quello che si potrebbe chiamare un carattere rigido.

Non si deve prendere l'iniziativa di ricercarli; qualora vengano denunciati e portati in giudizio, bisogna punirli, con quest'avvertenza però, che, chi neghi di essere cristiano lo faccia vedere con i fatti, cioè tributando atti di culto ai nostri dèi, quantunque per il passato abbia suscitato sospetti, ottenga indulgenza in grazia del suo pentimento.

Riguardo poi alle denunce anonime, non debbono essere prese in considerazione in nessun procedimento giudiziario: testimoniano una prassi abominevole che non s'addice per nulla ai nostri tempi.

Segue da ultimo il breve accenno al Cristo tratto dalla Vita dei dodici Cesari ( scritta intorno al 120 d.C. ) di Gaio Svetonio Tranquillo ( 70-150 d.C. ).

Questi fu segretario privato degli imperatori Traiano ( 98-117 ) e Adriano ( 117-138 ).

L'accenno a Gesù si ricava dalla Vita di Claudio.

( Claudio ) espulse da Roma i Giudei i quali, istigati da un certo Crestos, provocavano spesso tumulti.

Che cosa si pensa di Gesù nell'Islam, nell'induismo e nell'ebraismo

Grande è la venerazione per Gesù nel Corano e in tutta la tradizione islamica successiva.

Egli non è considerato figlio di Dio, perché attribuirgli una natura divina sarebbe incompatibile con l'unicità di Dio, ma è pur sempre ritenuto uno dei più grandi profeti, uno dei più vicini a Dio, l'unico nato miracolosamente da una vergine.

Interessanti testimonianze dell'attrattiva che la sua figura ancora esercita in alcuni settori del mondo e della cultura islamica si possono ricavare da un libro di Giuseppe Rizzardi, Il fascino di Cristo nell'Islam, I.P.L., Milano 1989.

In seno all'induismo contemporaneo Gesù è spesso considerato una delle più alte incarnazioni del divino nella storia umana, un maestro eccelso di moralità e di bontà verso tutte le creature, colui che con la sua sofferenza innocente ha trasfigurato il dolore e lo ha reso fermento di salvezza per il mondo intero.

Ci limitiamo qui a due citazioni, tra le tante possibili, dalle opere di due grandi maestri dell'India moderna, Gandhi e Tagore.

Mohandas Karamchand Gandhi: da "Thè Modera Rcvicw", ottobre 1941: Che cosa significa dunque Gesù per me?

Per me, egli è stato uno dei più grandi maestri che l'umanità abbia mai avuto.

Per i suoi seguaci, egli è stato l'unigenito Figlio di Dio.

Il fatto che io accetti o non accetti onesta credenza può fare sì che Gesù abbia una maggiore o minore influenza sulla mia vita?

Tutta la grandezza del suo insegnamento e della sua dottrina mi dovrà essere preclusa? Non posso crederlo.

Per me, tutto questo implica una rinascita spirituale.

La mia interpretazione, in altre parole, è che la vita di Gesù è la chiave della sua intimità con Dio; e che egli ha espresso, come nessun altro avrebbe potuto, lo spirito e la volontà di Dio.

È in questo senso che io lo vedo e lo riconosco come Figlio di Dio.

Rabindranath Tagore: Arrivare a una perfezione così totale come quella che Gesù ci ha indicato non è cosa da poco.

Dicendo: "Ama il prossimo tuo come tè stesso".

Egli non ha voluto diminuirne la portata.

Non ha detto: "Ama il tuo prossimo"; ma ha detto: "Amalo come tè stesso".

Chi desidera l'intimità con Dio deve arrivare a questo amore, deve camminare per questa strada.

Il Dio Gesù ha detto: "Ama i tuoi nemici".

Poiché ha voluto perdonare veramente i suoi nemici non si è fermato, preso dalla paura, a metà strada.

Poiché ha voluto amare i suoi nemici, ha spinto i suoi propositi sino all'intimità col Padre.

Ha detto: "A chi ti chiede il vestito, dagli anche il mantello".

Per gli uomini del mondo queste sono cose esagerate, perché essi non capiscono quel fine così grande.

Il mondo può lasciare anche il mantello insieme con il vestito, se ciò soddisfa le esigenze della vita presente.

Ma se pensa che l'intimità con Dio è meno preziosa delle necessità della vita presente, allora farà fatica a donare anche il vestito.

Coloro che sono venuti ad annunciare agli uomini che non c'è nulla di più grande di Dio non hanno voluto mostrare un Dio piccolo, fatto a misura dei piccoli desideri dell'uomo mondano.

Essi, senza esitazione, hanno proclamato sino alla fine la Parola più grande di tutte le cose.

Per gli ebrei la questione Gesù si pone in modo più acuto, sia per le persecuzioni subite nei secoli in suo nome, sia perché Gesù è pur sempre ebreo e il suo Vangelo si radica appieno nella Rivelazione biblica.

Nel nostro secolo l'interesse degli ebrei per Gesù si è tatto particolarmente vivo e le prese di posizione nei suoi confronti all'interno dell'ebraismo sono estremamente variegate.

In sintesi, si va dal netto rifiuto dei circoli più ortodossi alle aperture piene di ammirazione di studiosi e artisti più disponibili a riconsiderare la figura e la missione di questo grande figlio di Israele.

Riportiamo qui di seguito tre brevi passi.

Scrive Paul Goodman in La Sinagoga e la Chiesa ( 1908 ): L'atteggiamento più razionale degli ebrei verso Gesù è del tutto uniformemente negativo.

Naturalmente egli conserva per essi un'estrema importanza, perché è una personalità ebrea che ha diffuso la luce su larghe masse dei suoi contemporanei, e perché le parole che gli si attribuiscono mostrano, secondo i teologi ebrei, quanto era profondamente radicato nella fede e nelle idee del suo popolo; ma non c'è posto per Gesù nella religione d'Israele.

Questo brano riporta le parole di Kaufmann Kohler, autore dell'opera Le origini della Sinagoga e della Chiesa, del 1929, il quale, già nel 1893, in un congresso religioso, così si esprimeva: Tutti i tratti del sapiente greco e del santo ebraico sono armoniosamente uniti nell'uomo del Golgota.

Nessun sistema etico o catechismo religioso, per quanto tolleranti e puri, possono eguagliare l'efficacia di questa grande personalità che sta, diversamente da qualsiasi altra, a mezzo tra il cielo e la terra, ugualmente vicina a Dio e all'uomo.

( Altrove ancora scrive ); Come un vero profeta, Gesù ha ricusato ogni obbligo verso le scuole farisaiche...

È stato un ardito riformatore sociale e religioso che, pieno di zelo, voleva riformare il giudaismo.

Gesù sentiva quel divino potere della pietà che non s'inquieta delle sozzure dei peccatori, una volta stabilito tuttavia che i loro errori possono essere cancellati dalle lacrime della penitenza.

Contrariamente agli altri dottori e profeti, ha posseduto un messaggio, un evangelo di celeste redenzione per i disprezzati, gli ignoranti, i dimenticati, e questi lo hanno coronato del diadema di Messia.

Il seguente brano è uno stralcio di una conferenza tenuta da Rabbi Maurice Eisendrath al Convegno dell'Unione delle Congregrazioni ebraiche americane, a Chicago, nel 1963: Ma che dire della nostra posizione di ebrei verso il cristianesimo, specialmente verso Gesù?

Dobbiamo rimanere inflessibili, ortodossi, nel nostro rifiuto di esaminare i nostri stessi principi, le nostre interpretazioni del significato della vita di Gesù l'ebreo?

Abbiamo esaminato i nostri testi, ufficiali e no, per una nuova valutazione della nostra, forse spesso gelosa, opinione di colui nel cui nome il cristianesimo è stato fondato?

Fino a quando continueremo a ignorare i suoi elevati e tuttavia semplici insegnamenti asseriti come profetici e rabbinici, semplicemente nella considerazione che egli ha ripetuto molto di ciò che era stato detto dai suoi predecessori profeti e dai suoi contemporanei rabbini?

Michea era forse più originale spiritualmente e moralmente di Amos e di Osea?

Forse che i rabbini che noi riveriamo e i cui detti facciamo apprendere dai nostri figli, non si ripetono l'un l'altro?

Per quanto tempo ancora noi continueremo ad affermare pomposamente che il maggior contributo di Gesù è stato semplicemente una rielaborazione di tutto ciò che era stato detto prima dai suoi avi ebrei?

Quando potremo ammettere che la sua influenza è stata benefica, non solo per i pagani?

Questa è la folgorante testimonianza di Franz Kafka a Gustav Janough, che gli chiede: "E Cristo?"; risponde: "Questo è un abisso di luce.

Bisogna chiudere gli occhi per non precipitare".

Gesù nella letteratura contemporanea

Il modo tutto paradossale in cui il volto di Gesù affiora nella letteratura, e più in generale nell'arte contemporanea, è quello della cancellazione.

Non più dunque la sfolgorante presenza del Cristo Pantocratore dei mosaici bizantini, ne la prosa di marmo delle grandi cattedrali o la commossa rappresentazione delle Laudi di Jaeoponc da Todi.

L'uomo moderno sembra subire il fascino di un Cristo anonimo e a tratti irriconoscibile, pronto a confondersi con l'innocenza già prossima alla follia del principe Myskin nel romanzo L'idiota di Dostoevskij, o ad affiorare all'improvviso in certi personaggi marginali dei film di Kieslowsky.

I brani che seguono sono solo dei segnali di tante vie lungo le quali, in un modo o nell'altro, come lungo la strada per Emmaus, Gesù continua ad apparire.

Il passo che segue è tratto da Esercizio del Cristianesimo ( 1850; Sansoni, Firenze 1972, p. 755 ) del filosofo e scrittore danese Seren Kierkegaard ( 1813-1855 ), e illustra con grande intensità il rifiuto di addomesticare la figura del Cristo togliendole il suo definitivo carattere di scandalo.

La maggioranza degli uomini, dei cristiani della cristianità di oggi, vivono nell'illusione che, se fossero stati contemporanei di Cristo, lo avrebbero senz'alerò riconosciuto nonostante l'inconoscibilità.

Sfugge loro internamente che in questo modo essi tradiscono una completa ignoranza di se stessi: sfugge loro completamente che questa loro idea, con cui credono certamente di lodare Cristo, costituisce una bestemmia.

E la bestemmia contenuta nel climax adialettico e chiacchierone del pastore quando dice: "Cristo era Dio a tal punto che chiunque poteva accorgersene subito e direttamente", invece di dire: "Cristo era vero Dio, e quindi Dio a tal punto da esserlo nell'inconoscibilità.

Perciò non furono la carne e il sangue, ma proprio il contrario della carne e del sangue che lo fecero riconoscere da Pietro" ( Mt 16,17 ).

Nel dramma Dialoghi delle Carmelitane ( 1948 ), il francese Georges Bemanos ( 1888-1948 ) affronta il tema dell'accettazione della vita quotidiana e in particolare, nel brano riportato ( Morcelliana, Brescia 1952, p. 137 ), della solitudine, esemplata nella morte del Cristo.

Nel giardino degli Olivi, Cristo non era più padrone di nulla.

L'angoscia umana non era mai salita più in alto, e mai più raggiungerà quel livello.

Aveva ricoperto tutto in Lui, salvo quell'estrema punta dell'anima in cui s'è consumata la divina accettazione.

Egli ha avuto paura della morte.

Tanti martiri non hanno avuto paura della morte...

I martiri erano sostenuti da Gesù, ma Gesù non aveva l'aiuto di alcuno, perché ogni aiuto e ogni misericordia procedono da Lui.

Nessun essere vivente entrò nella morte così solo e cosi disarmato.

In quello che è uno dei più bei romanzi del '900, Il Maestro e Margherita ( postumo. 1966 ), il russo Michail Bulgakov ( 1891-1940 ) ha intrecciato l'epilogo della vicenda di Gesù con le grottesche meschinità della società sovietica.  Nel brano ( Einaudi. Torino 1966 ) la crocifissione è ritratta con dolente realismo.

Dal palo più vicino giungeva una consone rauca ed insensata.

Sul suo palo Hestas era impazzito allo scadere della terza ora di supplizio, per le mosche ed il sole, ed ora cantava sottovoce qualcosa sull'uva; ogni tanto dondolava il capo coperto da un turbante, e allora le mosche si alzavano fiaccamente dal suo viso per tornarvi subito dopo.

Sul secondo palo Dismas soffriva più degli altri due perché non era in preda al delirio: spesso agitava il capo a destra e a sinistra per toccarsi le spalle con le orecchie.

Yesua era stato più fortunato di lui.

Già nella prima ora lo avevano colto degli svenimenti, dopo i quali si era assopito lasciando ricadere la testa col turbante disfatto.

Le mosche lo avevano perciò ricoperto a sciami, tanto che il suo viso era ormai nascosto da una massa nera e brulicante.

All'inguine, sul ventre e sotto le ascelle grassi tafani succhiavano il suo corpo mulo e giallo.

Obbedendo ai gesti dell'uomo incappucciato, uno dei carnefici prese una lancia mentre l'altro portava al palo un secchio ed una spugna.

Il primo dei carnefici alzò la lancia e toccò lievemente l'uno e l'altro braccio di Yesua, tesi e legati aliti traversa del palo.

Il corpo dalle costale sporgenti sussultò.

Il carnefice passò la punta della lancia sul ventre.

Allora Yesua sollevò il capo: le mosche si alzarono ronzando e scoprirono il suo volto, gonfio per le punture, con gli occhi tumefatti: un volto irriconoscibile.

Se la vita del russo Fédor Dostoevskij ( 1821-1881 ) fu un groviglio di contraddizioni, la sua opera testimonia del costante agguato che il Cristo rappresentò per lui.

In questa celebre pagina dell'epistolario ( Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1951, pp. 168-169 ) la scelta di stare con Gesù appare più forte della stessa motivazione religiosa.

Non perché siete religiosa ma perché io stesso l'ho vissuto e provato, vi dirò che in simili minuti [ in cui si ricorda la sofferenza passata ], come "l'erba disseccata" si e assetati di fede e la si trova appunto perché nella sventura la verità si fa più chiara, lo vi dirò di me che sono un figlio del secolo, un figlio della miscredenza e del dubbio e che ( lo so ) lo resterò fino alla tomba.

Quante terribili sofferenze mi è costata e mi costa ora questa sete di fede, la quale e tanto più forte nell'anima mia quanto più sogno gli argomenti contrari.

E tuttavia Dio mi manda talvolta dei minuti, nei quali io sono del tutto sereno; in questi minuti io ho cercato in me stesso il simbolo della fede, nel quale tutto mi è caro e sacro.

Questo simbolo è molto semplice: eccolo: credere che non c'è nulla di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, di più virile e perfetto di Cristo [...].

E non basta; se mi si dimostrasse che Cristo è fuori della verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori di Cristo, io preferirei restare con Cristo anziché con la verità.

C'è, e Dostoevsidj l'ha raccontata nella tragica figura di Kirillov, personaggio del romanzo I demoni ( 1873 ), una torma di ateismo così radicale e inquieto da configurarsi quasi come un bisogno di credere.

Nel passo riportato ( Einaudi, Torino 1942, p. 605 ) la negazione della divinità di Gesù assume il carattere di una disperata nostalgia.

"Sapete, secondo me, voi credete magari ancora più di un prete. "

"In chi? In Lui? Ascolta", fece Kirìllov, e si fermò, guardando davanti a sé con uno sguardo immobile ed esaltato.

"Ascolta una grande idea: ci fu sulla terra un giorno che nel mezzo della terra stavano tre croci.

Uno dei crocifissi credeva al punto che disse a un tratto: 'Oggi sarai con me in paradiso'.

Finì il giorno, tutt'e due morirono, s'incamminarono e non trovarono ne paradiso, ne resurrezione.

Non si avverò quanto era stato detto.

Ascolta: quell'uomo era il più sublime di tutta la terra, formava ciò per cui essa deve vivere.

Tutto il pianeta, con tutto ciò che c'è sopra, senza quell'uomo non è che follia.

Non ci fu ne prima, ne dopo nessuno che Lo eguagliasse, ne mai ci sarà: che è perfino un miracolo.

In questo appunto sta il miracolo, che non ci fu e non ci sarà mai chi Lo eguaglia.

Ma se è così, se le leggi della natura non hanno risparmiato neppur Quello, se non hanno risparmiato
nemmeno il proprio miracolo, ma hanno obbligato anche Liti" a vivere in mezzo alla menzogna e a morire per la menzogna, significa che tutto il pianeta non è che menzogna e poggia sulla menzogna e su una stupida beffa.

Significa che le stesse leggi del pianeta sono una menzogna e un vaudeville del diavolo.

Perché vivere, allora, rispondi, se sei un uomo?"

In Numquid et tu? ( 1926 ), il francese Andre Gide ( 1869-1951 ) riversò le più drammatiche pagine autobiografiche della sua tentazione di credere.

Il brano che segue ( Sansoni, Firenze 1951, p. 121 ) coglie in modo lucido il rapporto tra storia ed eternità, risolvendolo nella conversione dell'uomo nuovo.

Una delle più gravi incomprensioni dello spirito del Cristo proviene dalla confusione che spesso si stabilisce nella mente del cristiano tra la vita futura e la vita eterna.

La vita eterna che il Cristo propone, e alla partecipazione della quale tutto il suo insegnamento ci invita, questa vita eterna non ha nulla di futuro: non al di là della morte essa ci attende: e persino non vi è speranza alcuna qualora non vi perveniamo subito, che possiamo raggiungerla mai.

Le parole del Cristo sono divinamente luminose ed è occorsa tutta l'ingegnosità degli uomini per offuscarne o modificarne il significato evidente.

Ma esse risplendono di nuovo di viva luce per chi le rilegge con un cuore nuovo, con uno spirito infantile.

La pagina che segue ( Esercizio del Cristianesimo, Sansoni, Firenze 1972, p. 770 ) è un concentrato della cristologia di Sóren Kierkegaard.

Libertà dell'uomo, grandezza e umiltà, scelta e verità, tutto sembra come attraversato da Cristo, vero cuore dell'esistenza.

Pertanto, Cristo vuole anzitutto e soprattutto aiutare ogni uomo a divenire se stesso: egli esige anzitutto e soprattutto che ogni uomo rientri in se stesso e diventi se stesso, per poi attirarlo a sé.

Vuole attirare l'uomo a sé, ma per farlo in verità egli vuole soltanto attirarlo come essere libero, quindi attraverso una scelta.

Perciò Cristo che ha abbassato se stesso, egli l'umiliato, vuole attirare a sé l'uomo dall'alto.

Tuttavia, egli è la stessa e medesima persona in umiltà e in gloria e la scelta non sarebbe giusta se si pensasse che tocca scegliere fra il Cristo dell'umiltà e il Cristo della gloria: perché Cristo non è diviso, egli è sempre la stessa e medesima persona.

La scelta non è: o l'abbassamento o l'elevazione; no, la scelta è Cristo.

Ma Cristo è una composizione e tuttavia è la stessa e medesima persona, tanto in abbassamento come in gloria ed è per questo ch'egli impedisce di scegliere una soltanto delle parti; poiché entrambe le parti, ossia il fatto che ambedue esistono, rende impossibile di essere attirati a lui se non mediante una scelta.

Infatti, se in verità potesse attirare a sé senza la scelta, bisognerebbe ch'egli fosse una cosa sola, o il Cristo dell'elevatezza, o il Cristo dell'abbassamento, ma egli è ambedue.

Così egli attira a sé mediante una duplicità.

Nessuna cosa, nessuna forza naturale, nulla al mondo attira a sé in questo modo; questo è proprio dello spirito, quindi soltanto lo spirito può attirare a sé lo spirito.

Nel 1936 il francese Francois Mauriac ( 1885-1970 ) scrisse una Vita di Gesù, dalla cui prefazione ( Mondadori, Milano 1937, p. 18 ) riportiamo questo passo. Scrittore attentissimo alla dialettica passioni-spirito, Mauriac vede in Cristo il mediatore, il compagno di un difficile cammino.

Devo confessarlo? Non avessi conosciuto il Cristo, "Dio" sarebbe stato per me un vocabolo vuoto di senso.

Salvo il caso d'una grazia particolarissima, l'Essere infinito mi sarebbe stato inimmaginabile, impensabile.

Il Dio dei filosofi e degli eruditi non avrebbe occupato nessun posto nella mia vita morale.

È bisognato che Dio s'immergesse nell'umanità e che a un preciso momento della storia, sopra un determinato punto del globo, un essere umano, fatto di carne e di sangue, pronunciasse certe parole, compisse certi atti, perché io mi getti in ginocchio.

Se il Cristo non avesse detto: "Padre nostro..." io non avrei mai avuto da me stesso il senso di questa filiazione; questa invocazione non sarebbe mai salita dal mio cuore alle mie labbra.

Io non credo che a ciò che tocco, che a ciò che vedo, che a ciò che s'incorpora nella mia sostanza; ed e perciò che ho fede nel Cristo.

Tutti gli sforzi per diminuire in lui la condizione umana, si scontrano con la mia profonda tendenza; e certamente ad essa bisogna riferire la mia ostinazione a preferire al volto del Cristo-Re, del Messia trionfante, l'umile figura torturata che nella locanda d'Emmaus i pellegrini di Rembrandt riconobbero alla frattura del pane: il fratello nostro coperto di ferite, il nostro Dio.

Nel romanzo La Storia ( 1974 ), Elsa Morante ha riscritto alcune pagine di storia nazionale, con la manzoniana volontà di intentare un processo alla Storia.

Le parole che riportiamo ( Einaudi, Torino 1974, p. 590 ) sono di Davide, personaggio anarchico e votato all'autodistruzione, e celebrano, potremmo dire, la metamorfosi di un nome proprio in uno comune, metafora linguistica dell'Incarnazione.

Il termine cristo non è un nome o cognome personale: è un titolo comune, per designare l'uomo che trasmette agli altri la parola di Dio, o della coscienza totale che significa proprio lo stesso.

Quel Cristo là si nominava, secondo i documenti, Gesù di Nazaret, però altre volte, attraverso i tempi, il cristo si e presentato sotto diversi nomi, di maschio, o di femmina - lui non bada al genere -  e di pelle chiara o scura - lui si mette il primo colore clic capita - e in oriente e in occidente e in tutti i climi - e ha parlato in tutte le lingue di babele - sempre tornando a ripetere la stessa parola!

Difatti, solo da quella si riconosce il cristo: dalla parola! che è solo una sempre la stessa: quella là.

Racconto di una crisi, quella di Manzoni in seguito alla morte della moglie, il romanzo Natale 1833 ( 1982 ) di Mario Poillilio ( 1921-1990 ) è un lungo saggio religioso.

Nella pagina seguente ( Rusconi, Milano 1982, p. 128 ) viene affermata l'identità dell'uomo sofferente con Cristo.

"Ma perché ho detto che la storia delle vittime è la storia stessa di Dio?

Ma perché ogni qual volta un innocente è chiamato a soffrire, egli recita la Passione.

Che dico, recitare? Egli è la Passione: non nel senso beninteso, che il Signore voglia rinnovato in lui il proprio sacrificio, come ho pure per errore pensato altre volte, ma nel senso bensì che è Egli stesso a crocifiggersi con lui.

Potrà parervi disperante questo Dio disarmato.

E invece che cosa c'è, riflettendoci bene, di più consolante che questa solidarietà non di forza e di giustizia, ma di compassione e d'amore?

E in verità e questo, semplicemente, amico mio: la croce di Dio ha voluto essere il dolore di ciascuno; e il dolore dì ciascuno è la croce di Dio".

Tratte dal vasto epistolario del regista e scrittore Pier Paolo Pasolini ( 1922-1975 ) con Lucio Caruso, in relazione al suo film su Gesù le righe che presentiamo ( Il Vangelo secondo Matteo, Garzanti, Milano 1964, p. 17 ), costituiscono un breve e compiuto epitaffio della fede laica dello
scrittore.

In parole molto semplici e povere: io non credo che Cristo sia figlio di Dio, perché non sono credente - almeno nella coscienza.

Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l'umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei comuni termini dell'umanità.

Battagliero campione di una religiosità tanto intransigente quanto appassionata, il poeta Padre Davide Maria Turoldo ( 1916-1995 ) esprime in questi versi ( da O sensi miei, Rizzoli, Milano 1990, p. 385 ) la sua totale adesione alla follia della croce.

Io voglio sapere

se Cristo è veramente risorto

se la Chiesa ha mai creduto

che sia veramente risorto.

Perché allora è una potenza,

schiava come ogni potenza?

Perché non batter le strade

come una follia di sole,

a dire: Cristo è risorto, è risorto?

Perché non si libera dalla ragione

e non rinuncia alle ricchezze

per questa sola ricchezza di gioia?

Cristo, Messia, Unto

Queste prescrizioni circa l'uso dell'olio ( come quelle che seguono sul profumo ) sono tardive: tutti i sacerdoti sono unti, nessun laico deve esserlo.

Nei testi storici antichi, l'unzione è riservata ai re ( 1 Sam 10,1s; 1 Sam 16,1s; 1 Re 1,39; 2 Re 9,6; 2 Re 11,12 ).

Questa unzione dà al re un carattere sacro: egli è l'unto di Jahvè ( 1 Sam 24,7; 1 Sam 26,9.11.23; 2 Sam 1,14.16; 2 Sam 19,22 ), in ebraico « il Messia », in greco « il Cristo ».

Applicato spesso dai salmi a Davide e alla sua dinastia, questo titolo è divenuto per eccellenza quello del re dell'avvenire, il Messia, di cui Davide era il tipo, e il N. T. lo dà al Cristo Gesù.

Quanto ai membri del sacerdozio, non sembra che la unzione sia stata conferita loro prima dell'epoca persiana.

I testi sacerdotali antichi la riservano al sommo sacerdote ( Es 29,7.29; Lv 4,3.5.16; Lv 8,12 ).

La si estese poi a tutti i sacerdoti ( qui v 30 e Es 28,41; Es 40,15; Lv 7,36; Lv 10,7; Nm 3,3 ).

Es 30,22
Il suo consacrato: il suo « unto », il suo « Cristo » ( Es 30,22+; 1 Sam 9,26+ ): il re di Israele. Sal 20,7
Messia del Signore: BJ traduce: « Cristo del Signore »: è colui che Dio ha unto ( Es 30,22+ ), cioè consacrato per una missione salvifica: così il re d'Israele, o un principe scelto da Jahvè, e infine, a un titolo eminente, il Messia che instaurerà il regno di Dio. Lc 2,26
... immagine di Dio

All'immagine del Figlio suo: immagine di Dio nella prima creazione ( Col 1,15+; Eb 1,3 ), il Cristo è venuto, mediante una seconda creazione ( 2 Cor 5,17+ ), a rendere all'umanità decaduta lo splendore dell'immagine divina che il peccato aveva offuscato ( Gen 1,26+; Gen 3,22-24+; Rm 5,12+ ).

Egli lo fa imprimendogli l'immagine più bella di figlio di Dio che ristabilisce l'« uomo nuovo » nella rettitudine del giudizio morale ( Col 3,10+ ) e gli restituisce il diritto alla gloria che il peccato aveva fatto perdere ( Rm 3,23+ ).

Questa gloria che il Cristo possiede personalmente come immagine di Dio ( 2 Cor 4,4 ) penetra sempre più il cristiano ( 2 Cor 3,18 ), fino al giorno in cui lo stesso suo corpo ne sarà rivestito a immagine dell'uomo « celeste » ( 1 Cor 15,49 ).

Rm 8,29
Irradiazione ... impronta della sua sostanza: queste due metafore, desunte dalla teologia alessandrina della sapienza e del Logos ( Sap 7,25-26 ), esprimono l'identità di natura tra il Padre e il Figlio e nello stesso tempo la distinzione delle persone.

Il Figlio è l'« irradiazione » o il riflesso della gloria luminosa ( Es 24,16+ ) del Padre, Lumen de Lumine.

Ed è l'« impronta » ( Col 1,15+ ) della sua sostanza, come l'impronta esatta lasciata da un sigillo ( Gv 14,9 ).

Eb 1,3
... figlio di Dio

Figlio di Dio: il titolo biblico di « Figlio di Dio » non esprime necessariamente una filiazione naturale; per sé potrebbe comportare semplicemente una filiazione adottiva, risultante da una scelta divina che stabilisca tra Dio e la sua creatura relazioni di una intimità particolare.

Così questo titolo è attribuito agli angeli ( Gb 1,6+ ), al popolo eletto ( Es 4,22; Sap 18,13 ), agli israeliti  ( Dt 14,1; Os 2,1; Mt 5,9.45 ) e ai loro capi ( Sal 82,6 ).

Quando è detto del Re - Messia ( 1 Cr 17,13; Sal 2,7; Sal 89,27 ) non esige dunque di per sé che questi sia più che umano; e non è richiesto supporre di più nel pensiero di Satana ( Mt 4,3.6 ), degli indemoniati ( Mc 3,11; Mc 5,7; Lc 4,41 ) e a fortiori del centurione ( Mc 15,39 ; Lc 23,47 ).

Anche al battesimo ( Mt 3,17 ) e alla trasfigurazione ( Mt 17,5 ) tale parola non implicherebbe da sola più che un favore speciale accordato al Messia - servo; neppure la domanda del sommo sacerdote ( Mt 26,63 ) superava forse questo significato messianico.

Ma il titolo di « Figlio di Dio » resta d'altronde aperto al valore più alto di una filiazione propriamente detta, e Gesù l'ha chiaramente suggerito, designandosi come « il Figlio » ( Mt 21,37 ), superiore agli angeli ( Mt 24,36 ), avente Dio per « Padre » in una maniera tutta speciale ( Gv 20,17 e « Padre mio », Mt 7,21 ), perché egli ha con lui relazioni uniche di conoscenza e di amore ( Mt 11,27 ).

Queste dichiarazioni, appoggiate da altre sul rango divino del Messia ( Mt 22,42-46 ) e sull'origine celeste del « Figlio dell'uomo » ( Mt 8,20+ ), confermate infine dal trionfo della resurrezione, hanno dato all'espressione « Figlio di Dio » il senso propriamente divino che si ritroverà, per esempio, in san Paolo ( Rm 9,5+ ).

Se i discepoli non ne hanno preso chiaramente coscienza mentre era vivo Gesù ( Mt 14,33; Mt 16,16, aggiungendo questa espressione al testo più primitivo di Mc, riflettono forse una fede più evoluta ), la fede che essi hanno definitivamente acquisiti dopo pasqua, con l'aiuto dello Spirito Santo, non si appoggia meno realmente sulle parole storiche del Maestro, che ha espresso, per quanto lo potevano comprendere i suoi contemporanei, la sua coscienza di essere il figlio del Padre in senso proprio.

Mt 4,3
... Dio

Dio benedetto nei secoli: il contesto e il movimento stesso della frase suppongono che la dossologia si rivolga al Cristo.

Se è raro che Paolo dia a Gesù il titolo di « Dio » ( Tt 2,13 ) e gli rivolga una dossologia ( Eb 13,21 ), è perché egli riserva ordinariamente questo titolo al Padre ( Rm 15,5 ) e considera le persone divine meno sul piano astratto della loro natura che sul piano concreto delle loro funzioni nell'opera della salvezza.

Inoltre egli pensa sempre al Cristo storico nella sua realtà concreta di Dio fatto uomo ( Fil 2,5+; Col 1,15+ ).

Per questo egli lo mostra subordinato al Padre ( 1 Cor 3,23; 1 Cor 11,3 ), sia nell'opera della creazione ( 1 Cor 8,6 ) che della restaurazione escatologica ( 1 Cor 15,27s; Rm 16,27 ).

Tuttavia il titolo di « Kyrios » ricevuto dal Cristo nella resurrezione ( Fil 2,9-11; Ef 1,20-22; Eb 1,3s ) non è nient'altro che il titolo divino dato a jahvè nell'A. T. ( Rm 10,9.13; 1 Cor 2,16 ).

Per Paolo Gesù è essenzialmente il « Figlio di Dio » ( Rm 1,3s.9; Rm 5,10; Rm 8,29; 1 Cor 1,9; 1 Cor 15,28; 2 Cor 1,19; Gal 1,16; Gal 2,20; Gal 4,4.6; Ef 4,13; 1 Ts 1,10; Eb 4,14 ), il suo « proprio Figlio » ( Rm 8,3.32 ), il « Figlio del suo amore » ( Col 1,13 ), che appartiene di diritto al mondo divino da dove è venuto ( 1 Cor 15,47 ), inviato da Dio  ( Rm 8,3; Gal 4,4 ).

Se egli ha preso il titolo di « Figlio di Dio » in modo nuovo con la resurrezione ( Rm 1,4+; Eb 1,5; Eb 5,5 ), non l'ha però ricevuto in quel momento, perché è preesistente, in un modo non solo scritturistico ( 1 Cor 10,4 ) ma ontologico ( Fil 2,6; 2 Cor 8,9 ).

Rm 9,5
... profeta

Il titolo di « profeta » che Gesù ha rivendicato solo in modo indiretto e velato ( Mt 13,57p; Lc 13,33 ), ma che le folle gli hanno chiaramente attribuito ( Mt 16,14p; Mt 21,11.46; Mc 6,15p; Lc 7,16.39; Lc 24,19; Gv 4,19; Gv 9,17 ), aveva un valore messianico, poiché lo spirito di profezia, spento dopo Malachia, doveva, secondo l'attesa del giudaismo, ritornare come segno dell'era messianica, sia nella persona di Elia ( Mt 17,10-11p ) sia sotto la forma di un'effusione generale dello Spirito ( At 2,17-18.33 ).

Difatti al tempo di Gesù si sono presentati molti ( falsi ) profeti ( Mt 24,11.24p ).

Giovanni Battista, sì, fu veramente un profeta ( Mt 11,9p; Mt 14,5; Mt 21,26p; Lc 1,76 ), ma a titolo di precursore venuto con lo spirito di Elia ( Mt 11,10p.14; Mt 17,12p ); e ha negato ( Gv 1,21+ ) di essere il « profeta » che Mosè aveva annunziato ( Dt 18,15 ).

Solo in Gesù la fede cristiana ha riconosciuto questo profeta ( At 3,22.26+; Gv 6,14; Gv 7,40 ).

Tuttavia essendosi il carisma della profezia diffuso sulla chiesa primitiva in seguito alla pentecoste ( At 11,27+ ), questo titolo di Gesù è scomparso presto dinnanzi ad altri titoli più specifici della cristologia.

Mt 16,14
Sei Elia?: sull'atteso ritorno di Elia, Ml 3,22-23 e Mt 17,10-13.

Sei tu il profeta?: sulla base di Dt 18,18, i giudei aspettavano il Messia come un nuovo Mosè ( il profeta per eccellenza, Nm 12,7+ ), che avrebbe rinnovato al centuplo i prodigi dell'esodo ( Gv 3,14; Gv 6,14.30-31.58; Gv 7,40.52; Gv 13,1+; At 3,22-23; At 7,20-44; Eb 3,1-11; Mt 16,14+ ).

Gv 1,21
... sapienza

Io sono: l'espressione greca egò eimi evoca il nome divino rivelato a Mosè ( Es 3,14+; Gv 8,24+ ); ma qui e in molti altri passi, essa introduce anche la spiegazione di una parabola espressa in gesti o parole: qui Gesù designa se stesso come il pane vero, raffigurato dalla manna e dal pane appena moltiplicato ( Gv 6,41.48.51; Gv 8,12; Gv 10,7-11; Gv 11,25; Gv 15,1 ).

Chi viene a me non avrà più fame: come la sapienza ( Pr 9,1s ), Gesù invita gli uomini a convito.

Per Giovanni, Gesù è al sapienza di Dio che la rivelazione biblica tendeva a personificare ( Gv 1,1+ ).

Tale convinzione poggia sull'insegnamento del Cristo, che emerge già nei sinottici ( Mt 11,19; Lc 11,31p ), ma qui è molto più accentuato: la sua origine è misteriosa ( Gv 7,27-29; Gv 8,14.19; Gb 28,20-28 ); lui solo conosce i misteri di Dio e li rivela agli uomini ( Gv 3,11-12.31-32; Mt 11,25-27p; Sap 9,13-18; Bar 3,29-38 ); egli è pane vivo che sazia la fame ( Gv 6,35; Pr 9,1-6; Sir 24,19-22; Mt 4,4p; Dt 8,3 ).

Gv 6,35
.. santo di Dio

Il santo di Dio: poiché Dio è il « santo » per eccellenza, tutto ciò che si ricollega a lui è santo ( Lv 11,44s; Lv 19,2; Is 6,3 ), e in primo luogo Gesù, che gli appartiene per la filiazione divina e la elezione messianica ( Mc 1,10s; Lc 1,35; Gv 6,69+; At 2,27; At 3,14; At 4,27.30; Ap 3,7 ).

Mc 1,24
Il santo di Dio: cioè l'inviato ed eletto di Dio, consacrato e unito a lui in modo eminente, il Messia ( Gv 10,36; Gv 17,19; Mc 1,24+ ).

Altri testimoni leggono: « tu sei il Cristo, il Figlio di Dio »; oppure: « il Figlio del Dio vivente » ( Mt 16,16 ); oppure: « tu sei il Cristo, il Figlio santo di Dio ».

Gv 6,69
... Signore

I cristiani designano se stessi come « coloro che invocano il nome del Signore » ( At 9,14.21; At 22,16; 1 Cor 1,2; 2 Tm 2,22 ); però il nome « Signore » non è riferito più a Jahvè ma a Gesù ( Fil 2,11; At 3,16+ ).

Nel giorno del giudizio ci sarà salvezza o condanna a seconda che si sarà invocato o no questo nome, si sarà riconosciuto o meno Gesù come Signore ( At 4,12; Rm 10,9 ).

At 2,21.36
Del Signore Gesù: invece del titolo « Cristo », più rispondente all'attesa giudaica, nella predicazione ai pagani si usa per Gesù il titolo di « Signore » ( At 25,26+ ).

Gesù è « Signore », divenuto con l'esaltazione alla destra di Dio, il sovrano del regno, alla fine dei tempi ( At 2,21.36; At 7,59.60; At 10,36; 1 Ts 4,15-17; 2 Ts 1,7-12; Rm 10,9-13 ).

At 11,20
Che Gesù Cristo è il Signore: una var. legge: « che Gesù è il Signore ».

È la professione di fede essenziale per il cristianesimo ( Rm 10,9; 1 Cor 12,3; Col 2,6; Ap 19,16 ).

Utilizzando Is 45,23 che si applica a Jahvè ( Rm 14,11 ), Paolo mostra bene il carattere divino che attribuisce al titolo di « Signore » ( anche Gv 20,28; At 2,36+ ).

Fil 2,11
... Salvatore

Il titolo di salvatore, raro nelle lettere paoline ( Ef 5,23; Fil 3,20 ), dalle lettere pastorali è attribuito al Padre ( 1 Tm 2,3; 1 Tm 4,10; Tt 1,3; Tt 2,10; Tt 3,4 ), come anche al Cristo ( 2 Tm 1,10; Tt 1,4; Tt 2,13; Tt 3,6 ).

L'opera del Cristo salvatore ha compiuto la volontà del Padre.

1 Tm 1,1
... servitore

Questi ... compiaciuto: questa espressione designa subito Gesù come il vero servo annunziato da Isaia.

Tuttavia, il termine « Figlio », sostituito a quello di servo ( grazie al doppio senso del termine greco pais ), sottolinea il carattere messianico e propriamente filiale della sua relazione con il Padre ( Mt 4,3+ ).

Mt 3,17
Servo: il termine si oppone al titolo di « Signore » ( v 11; Gal 4,1; Col 3,22s ): il Cristo fatto uomo ha adottato una via di sottomissione a di umile obbedienza ( v 8 ).

È probabile che Paolo pensi al « servo » di Is 52,13-53,12; Is 42,1+.

Fil 2,7
Il suo servo: in Gesù i cristiani riconoscono il misterioso « servo » di Is 52,13-53,12 citato parzialmente in At 8,32-33 ( Is 42,1+ ).

La glorificazione accordatagli da Dio è la resurrezione ( v 15; Gv 17,5+ ).

At 3,13
... luce

Nel N. T., il tema della luce si sviluppa secondo tre linee principali, più o meno distinte:

1. Come il sole illumina una strada, così è « luce » tutto quello che rischiara la strada verso Dio: un tempo erano la legge, la sapienza e la parola di Dio ( Qo 2,13; Pr 4,18-19; Pr 6,23; Sal 119,105 ); ora è il Cristo ( Gv 1,9; Gv 9,1-39; Gv 12,35; 1 Gv 2,8-11; Mt 17,2; 2 Cor 4,6 ), paragonabile alla nube luminosa dell'esodo ( Gv 18,12; Es 13,21s; Sap 18,3s ), e anche ogni cristiano, che manifesta Dio agli occhi del mondo ( Mt 5,14-16; Lc 8,16; Rm 2,19; Fil 2,15; Ap 21,24 ).

2. La luce è simbolo della vita, di felicità e di gioia; le tenebre sono simbolo di morte, di sventura e di lacrime ( Gb 30,26; Is 45,7; Sal 17,15+ ).

Alle tenebre della prigionia si oppone dunque la luce della liberazione e della salvezza messianica ( Is 8,22-9,1; Mt 4,16; Lc 1,79; Rm 13,11-12 ).

Essa raggiunge anche le nazioni pagane ( Lc 2,32; At 13,47 ), mediante il Cristo - luce ( Ef 5,14 ), per consumarsi nel regno dei cieli ( Mt 8,12; Mt 22,13; Mt 25,30; Ap 22,5; Ap 21,3-4 ).

3. Il dualismo « luce - tenebre » caratterizza così i due mondi opposti del bene e del male.

Nel N. T. appaiono perciò due « imperi », sotto il rispettivo dominio: del Cristo e di Satana ( 2 Cor 6,14-15; Col 1,12-13; At 26,18; 1 Pt 2,9 ); l'uno cerca di vincere l'altro ( Lc 22,53; Gv 13,27-30 ).

Gli uomini si dividono in « figli della luce » e « figli delle tenebre » ( Lc 16,8; 1 Ts 5,4-5; Ef 5,7-8; Gv 12,36 ), secondo che vivono sotto l'influenza della luce ( il Cristo ) o delle tenebre ( Satana ) ( Mt 6,23; 1 Ts 5,4s; 1 Gv 1,6-7; 1 Gv 2,9-10 ), e si riconoscono dalle loro opere ( Rm 13,12-14; Ef 5,8-11 ).

Questa separazione ( giudizio ) tra gli uomini si è resa manifesta con la venuta della luce, che obbliga ciascuno a pronunciarsi per o contro di essa ( Gv 3,19-21; Gv 7,7; Gv 9,39; Gv 12,46; Ef 5,12-13 ).

La prospettiva resta ottimistica: le tenebre dovranno un giorno sparire davanti alla luce ( Gv 1,5; 1 Gv 2,8; Rm 13,12 ).

Gv 8,12
... testimone

Noi parliamo di quel che sappiamo: il Cristo non parla di sua testa ( Gv 7,17-18 ), dice ciò che ha visto presso il Padre ( Gv 1,18; Gv 3,11; Gv 8,38; Gv 8,24+ ), trasmette le parole e l'insegnamento del Padre ( Gv 3,34; Gv 8,28; Gv 12,49.50; Gv 14,24; Gv 17,8.14 ), è la Parola  ( Gv 1,1.14 ).

Parola efficace: per mezzo di essa tutto fu tratto dal nulla ( Gv 1,1+ ), i morti escono vivi dalla tomba ( Gv 11,43.44; Gv 5,28-29 ), gli uomini sono vivificati ( Gv 5,2; Gv 6,63; Gv 8,51 ), purificati ( Gv 15,3 ); mediante il dono dello Spirito, principio di immortalità ( Gv 1,33+; Gv 20,22 ) l'uomo diventa figlio di Dio ( Gv 10,35; Gv 1,12 ).

Una sola condizione per l'uomo: credere nella Parola ( Gv 1,12 ), rimanere in essa ( Gv 8,31; Gv 15,7; Col 3,16 ), conservarla ( Gv 8,37; Gv 8,55; Gv 12,47; Gv 14,23; Gv 15,20; Gv 17,6 ), seguire il suo comandamento di amore ( Gv 13,34+ ).

Ma la parola è misteriosa ( Gv 2,20+ ), difficile da capire  ( Gv 6,60; Gv 7,36 ); il suo ascolto divide gli uomini ( Gv 7,43; Gv 10,19 ): alcuni credono ( Gv 4,41; Gv 7,40s.46; Gv 8,30 ), altri si ritirano, delusi ( Gv 6,66 ), malgrado i « segni » ( Gv 2,11+ ); questa Parola che hanno rigettato li condannerà nell'ultimo giorno ( Gv 12,48 ).

La ... testimonianza: il costante ricorso alla testimonianza dà al vangelo di Giovanni il movimento di un grandioso processo.

Annunziato dalla testimonianza di Giovanni Battista ( Gv 1,7-8.15.19; Gv 3,26; Gv 5,33; Gv 10,41 ), Gesù rende testimonianza alla verità ( Gv 18,37 ), contro il mondo ( Gv 7,7 ), al Padre e a se stesso come inviato del Padre ( Gv 3,11.31-32; Gv 5,36; Gv 10,25; Ap 1,5; Ap 3,14; 1 Tm 6,13 ).

Il Padre a sua volta testimonia a favore del Figlio ( Gv 5,31-37; Gv 8,18 ) e così lo spirito ( Gv 15,26; Gv 14,26; 1 Gv 5,6-12; Rm 8,16 ).

A questo fascio di testimonianze gli apostoli ( Gv 17,20 ) aggiungeranno la loro ( Gv 15,27; Gv 19,35; At 1,8+ ).

Gv 3,11
Questa testimonianza: ( 1 Tm 6,13 )

Il Cristo, accettando di morire per tutti gli uomini, ha reso manifesto agli occhi del mondo il disegno divino di salvare tutti.

Testimone del Padre con la sua vita, egli lo fu in grado supremo con la sua morte ( « testimone » e « martire » tradurranno più tardi la stessa parola greca Gv 3,11+; Ap 1,5; Ap 3,14 ).

1 Tm 2,6
Nella sua persona e nella sua opera, il Cristo è il « testimone » della promessa fatta un tempo da Davide ( 2 Sam 7,1+; Sal 89; Is 55,3-4; Zc 12,8 ) e realizzata in lui.

Egli è la Parola efficace, il « sì » di Dio ( v 2; Ap 3,14; Ap 19,11.13; 2 Cor 1,20 ).

Erede di Davide ( Ap 5,5; Ap 22,16 ), è stato costituito, mediante la resurrezione, « primogenito » ( Col 1,18; Rm 1,4+ ); distrutti i suoi nemici, riceverà il dominio universale ( Dn 7,14; 1 Cor 15,28; Ap 19,16 ).

Ap 1,5
... segno di contraddizione

Gesù è un « segno di contraddizione » ( Lc 2,34 ) che, senza volere le discordie, le provoca necessariamente per le esigenze di scelta che richiede.

Mt 10,34
... padrone della propria vita

La offro da me stesso: il Cristo ha la vita in se stesso ( Gv 3,35+ ) e nessuno gliela può togliere ( Gv 7,30.44; Gv 8,20; Gv 10,39 ): egli la dà liberamente ( Gv 10,18; Gv 14,30; Gv 19,11 ).

Da qui la sua maestà serena, la sua piena libertà davanti alla morte ( Gv 12,27; Gv 13,1-3; Gv 17,19; Gv 18,4-6; Gv 19,28 ).

Gv 10,18
... mediatore

Non vi dico che pregherò il Padre per voi: lezione corrente; alcuni testimoni leggono: « non pregherò il Padre ».

Gesù rimane l'unico mediatore ( Gv 10,9; Gv 14,6; Gv 15,5; Eb 8,6 ), ma i discepoli, essendo una sola cosa con lui mediante la fede e l'amore, saranno amati dal Padre: la mediazione di Gesù avrà raggiunto pieno effetto.

Gv 16,26
Mediatore: il termine così applicato al Cristo ha un valore quasi tecnico ( Eb 9,15; Eb 12,24; Eb 13,20 ).

Pienamente uomo ( Eb 2,14-18; Rm 5,15; 1 Cor 15,21; 1 Tm 2,5 ) e nello stesso tempo dotato della pienezza della divinità ( Col 2,9; Rm 9,5+ ), Gesù è l'intermediario unico ( Rm 5,15-19; 1 Tm 2,5; 1 Cor 3,22-23; 1 Cor 11,3 ) tra Dio e gli uomini, che egli unisce e riconcilia ( 2 Cor 5,14-20 ).

È intermediario della grazia ( Gv 1,1-2 ).

in cielo continua a intercedere per i suoi fedeli ( Eb 7,25+ ).

Eb 8,6
... sommo sacerdote

Apostolo e sommo sacerdote: il cristo è apostolo, cioè « inviato » da Dio agli uomini ( Gv 3,17+.34; Gv 5,36; Gv 9,7; Rm 1,1+; Rm 8,3; Gal 4,4+ ) e sommo sacerdote, che rappresenta gli uomini presso Dio ( Eb 2,17; Eb 4,14+; Eb 5,5.10; Eb 6,20; Eb 7,26; Eb 8,1; Eb 9,11; Eb 10,21 ).

Eb 3,1
... giudice escatologico

Simile a figlio d'uomo: il Messia appare nelle funzioni di giudice escatologico, come in Dn 7,13-14; Dn 10,5-6.

I suoi attributi sono descritti per mezzo di simboli: sacerdozio ( rappresentato dall'abito lungo; Es 28,4; Es 29,5; Zc 3,4 ); regalità ( fascia d'oro; 1 Mac 10,89; 1 Mac 11,58 ); eternità ( capelli bianchi; Dn 7,9 ); scienza divina ( occhi fiammeggianti per « scrutare gli affetti e i pensieri »: Dn 2,23 ); stabilità ( piedi di bronzo, Dn 2,31-45 ).

La sua maestà è terrificante ( splendore delle gambe, del volto, potenza della voce ).

Egli tiene le sette chiese ( le stelle; v 20 )in suo potere ( mano destra ) e la sua bocca si appresta a fulminare decreti mortali ( spada affilata ) contro i cristiani infedeli ( Ap 19,15+; Ap 2,16; Is 49,2; Ef 6,17; Eb 4,12 ).

All'inizio di ciascuna delle sette lettere si ritrova l'uno o l'altro di questi attributi del giudice, adattati alla situazione particolare delle chiese.

Ap 1,13
... principe della vita

L'autore della vita: il termine greco può essere tradotto anche con « principe della vita », ossia il capo che guida i suoi alla vita che gli appartiene.

La sequenza della messa di pasqua ha ricalcato questa espressione: Dux vitae mortuus regnat vivus.

A Mosè è riconosciuto ( At 7,27.35 ) lo stesso titolo di « capo », come a figura del Cristo ( At 5,31+; Eb 2,10 ).

At 3,15
... re

Per volontà del Padre, tutto è « in mano », cioè in potere del Figlio ( Gv 3,35; Gv 10,28.29; Gv 13,3; Gv 17,2; Gv 6,37-39; Mt 11,27; Mt 28,18 ).

È il fondamento della sua regalità ( Gv 12,13-15; Gv 18,36-37 ) che egli inaugurerà il giorno della sua « esaltazione » ( Gv 12,32+; Gv 19,19; At 2,33; Ef 4,8 ), quando il regno del principe di questo mondo avrà fine ( Gv 12,31 ).

Gv 3,35
... nostra pasqua

A pasqua, secondo il rituale ebraico, si faceva sparire tutto il pane lievitato che si trovava in casa ( Es 12,15 ), si immolava l'agnello pasquale ( Es 12,6 ) e si mangiava pane non lievitato ( Es 12,18-20 ).

Per Paolo, quelle erano preparazioni simboliche del mistero di Cristo, vero agnello pasquale, distrugge il vecchio lievito del peccato e rende possibile una vita santa e pura, simboleggiata dai pani senza lievito.

È possibile che questo paragone sia stato suggerito a Paolo dal periodo dell'anno in cui scriveva.

1 Cor 5,8
.. s'è abbassato con l'incarnazione

Pur essendo di natura divina: alla lettera « essendo nella forma di Dio », dove la parola « forma » designa gli attributi essenziali che manifestano al di fuori la « natura »: il Cristo, essendo Dio, ne aveva di diritto tutte le prerogative.

Non considerò un tesoro ... con Dio: alla lettera « non considerò lo stato di uguaglianza ( più precisamente « l'essere ugualmente » ) con Dio come una preda » ( da non mollare o meglio da prendere ).

Non si tratta dell'uguaglianza di natura, supposta dalla « natura divina » e di cui il Cristo non potrebbe spogliarsi, ma di un'uguaglianza di trattamento, di dignità manifestate e riconosciuta, che Gesù avrebbe potuto rivendicare, anche nella sua esistenza umana.

Si può pensare all'atteggiamento opposto di Adamo ( Gen 3,5.22 ).

Fil 2,6s
... di origine misteriosa

Questa pericope è composta di brani diversi, legati da un tema comune.

C'è un equivoco sull'« origine » di Gesù:

1° la sua origine umana vela quella divina: come mai se, se non è stato a scuola dai rabbini? ( vv 14-18 ); si conosce la sua infanzia, non può essere il Cristo ( vv 25-30 ).

2° lo si crede nato a Nazareth, non può essere il cristo ( vv 40-52 ).

Gv 7,14-27
So da dove vengo e dove vado: il vero testimone del Figlio è lui stesso, perché egli solo conosce il mistero celeste del suo essere ( Mt 11,27p ). Gv 8,14
Di dove sei?: cioè non: « di che paese sei? », ma: « qual'è la tua misteriosa origine? chi sei? ».

Dopo gli abitanti di Cana ( Gv 2,9 ), la samaritana ( Gv 4,11 ), gli apostoli, la folla ( Gv 6,5 ), i capi giudei ( Gv 7,27s; Gv 8,14; Gv 9,19s ), Pilato si trova di fronte al mistero di Gesù ( Gv 16,28; Gv 17,25 ), soggetto di tutto il vangelo ( Gv 1,13 ).

Gv 19,9
... ammirato dalle folle

Tutti ne facevano grandi lodi: Gesù ammirato e lodato dalle folle è un altro tema caro a Luca ( Lc 4,22; Lc 8,25; Lc 9,43; Lc 11,27; Lc 13,17; Lc 19,48 ), connesso al ritornello precedente ( Lc 4,14+ ) e ai temi della lode a Dio ( Lc 2,20+ ) e del timore religioso ( Lc 1,12+ ).

Lc 4,15
... giunto a compimento ( BC: « avrò finito » )

Avrò finito, o « compiuto »: parola ricca di senso, che include insieme la fine e il compimento di Gesù, reso « perfetto » dai patimenti e dalla morte ( Eb 2,10: Eb 5,9; Gv 19,30 ).

Lc 13,32
... esaltato dal Padre

Bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo: il Figlio dell'uomo ( Dn 7,13+; Mt 8,20+; Mt 12,32; Mt 24,30 ) deve essere « innalzato », messo sulla croce e nello stesso tempo introdotto di nuovo nella gloria del Padre ( Gv 1,51; Gv 8,28; Gv 12,32-34+; Gv 13,31-32 ).

Per essere salvati, bisognerà « guardare » il Cristo « innalzato » sulla croce ( Nm 21,8; Zc 12,10+; Gv 19,37+ ), cioè credere che egli è il Figlio unico ( Gv 3,18; Zc 12,10 ).

Allora si sarà purificati dall'acqua del suo costato trafitto ( Gv 19,34; Zc 13,1 ).

Il titolo « Figlio dell'uomo » denota in Gv una chiara insistenza sull'umanità di Gesù, sebbene sia fortemente sottolineata anche la sua origine divina ( Gv 3,13; Gv 6,62 ) che motiva gli atti in cui si anticipano le sue prerogative escatologiche ( Gv 5,26-29; Gv 6,27-53; Gv 9,35 ).

Gv 3,14
Quando sarò elevato da terra: lezione corrente: qualche testimone omette « da terra ».

Allusione all'elevazione del Cristo sulla croce ( v 33 ), contemporaneamente alla sua « elevazione » al cielo ( Gv 3,13.14+; Gv 8,28; Gv 6,62 ) il giorno della resurrezione ( Gv 20,17+ ), poiché i due avvenimenti sono due aspetti dello stesso mistero ( Gv 13,1+ ).

Esaltato alla destra del Padre, nella gloria ( Gv 12,23; Gv 17,5+ ), il Cristo manderà lo Spirito ( Gv 7,39 ) e attraverso di lui estenderà il dominio sul mondo ( Gv 16,14; Gv 3,35+ ).

Gv 12,32
... annunciato dai profeti

Dai profeti: Luca ripete a più riprese che la passione è stata predetta dai profeti ( Lc 24,25.27.44; At 2,23+; At 3,18,24; At 8,32-35; At 13,27; At 26,22s ).

Lc 18,31
Innalzato ... alla destra di Dio: traduzione possibile.

Le parole intese così introdurrebbero allora Sal 110,1 subito citato ( v 34 ) e richiamato uno dei temi della predicazione apostolica ( Mt 22,24p; Mt 26,64p; Mc 16,19; At 7,55.56; Rm 8,34; 1 Cor 15,25; Ef 1,20; Col 3,1; Eb 1,3.13; Eb 8,1; Eb 10,12; Eb 12,2; 1 Pt 3,22 ).

BJ preferisce tradurre: « esaltato alla destra di Dio », cogliendo in queste parole un'allusione al Sal 118 ( v 16, LXX: « La destra del Signore mi ha esaltato » ) utilizzato dalla predicazione apostolica, che lo ritiene messianico ( At 4,11; 1 Pt 2,7; Mt 21,9p.42; Mt 23,39; Lc 13,35; Gv 12,13; Eb 13,6 ).

At 2,33.36
La predicazione primitiva ama dimostrare come Gesù adempì le profezie dell'A. T. con la sua discendenza davidica ( At 2,30; At 13,34 ); con la sua missione di « profeta » successore di Mosè ( At 3,22s; Mt 16,14+; Gv 1,21+ ), con i patimenti ( At 2,23+ ) con il suo ruolo di pietra rigettata dai costruttori ( i giudei ) e divenuta pietra angolare ( At 4,11 ), con la sua risurrezione ( At 2,25-31; At 13,33-37 ), con la sua esaltazione celeste alla destra di Dio ( At 2,34s ). At 3,24
... manifestato nel tempio

Manifestazione: questo termine epifaneia ( usato in 2 Ts 2,8 a proposito dell'empio ) è adottato dalle pastorali che lo preferiscono a quello di « venuta » ( 1 Cor 15,23+ ) e di « rivelazione » ( 1 Cor 1,7+ ), per designare la manifestazione del Cristo, sia nel suo trionfo escatologico ( qui e 2 Tm 4,1.8; Tt 2,13; Eb 9,28 ), sia già nella sua opera redentrice ( 2 Tm 1,10; Tt 2,11; Tt 3,4 ).

1 Tm 6,14
... centro e fine delle scritture

Sono proprio esse che mi rendono testimonianza: Gesù è il centro delle Scritture e il fine cui tendono ( Gv 1,45; Gv 2,22; Gv 5,39.46; Gv 12,16.41; Gv 19,28.36; Gv 20,9 ).

Gv 5,39

Schedario biblico

Nome di Cristo B 10
Cristo, Nuovo Giosuè B 42
Cristo, salvezza del mondo B 61

Magistero

La fede e di conseguenza l'amore a Cristo, la contemplazione del suo volto, mite ed umile, deliziosamente umano, immensamente grave e raccolto in un'interiorità che parla d'infinito, infinitamente perciò adorabile ed amabile, dovrebbero qui avere per tutti la loro prima scuola, la loro palestra, la loro fontana.

Vi ricorderete? Dobbiamo conoscere Cristo nella sua realtà, umana e divina, nella teologia cristologica, che la Chiesa cattolica custodisce e diffonde di Lui.

Catechesi Paolo VI
4-1-1967

Cristo proclama l'eguaglianza e la fratellanza di tutti gli uomini: chi mai, se non Lui, ha insegnato e può tuttora efficacemente insegnare tali principi, di cui la rivoluzione, mentre se ne giova, li rinnega; se non Lui, diciamo, che ha svelato la Paternità divina, vera e inoppugnabile ragione della fraternità umana?

Omelia Paolo Vi
25-11-1970

E nel gaudio d'aver raggiunto la vetta della definizione di Cristo proveremo quasi un senso di vertigine, come fossimo abbagliati, e non comprendessimo più: non è Gesù che riconosciamo Cristo e che confessiamo Figlio di Dio, Dio come il Padre, che ci diede i documenti d'una sua sconcertante inferiorità?

Catechesi Paolo VI
10-2-1971

Ogni interesse della nostra vita, anche se temporale ed esterno, anche se agitato ed interno, può essere via verso l'interesse sommo e centrale, Cristo Signore.

Purché sia raddrizzato, cioè onesto, vegliante, cercante, implorante; tutto conduce a Gesù.

Catechesi Paolo VI
15-12-1971

La conoscenza di Lui ha dovuto finalmente risolversi nella fede, cioè in una conoscenza superrazionale; certissima, ma fondata su testimonianze che eccedono in parte un nostro sperimentale controllo; le quali testimonianze hanno però in se stesse la forza di convinzione, perché in fondo sono divine, e esigono da noi quella dilatante maniera di conoscere, con la mente e col cuore, senza tutto capire, perché troppo v'è da capire, che appunto chiamiamo fede.

Catechesi Paolo VI
13-2-1974

La qualifica di Maestro non bastava quindi a definire Gesù; un altro titolo gli compete, quello di « Figlio di Dio », titolo difficile allora a spiegarsi, ma tale da amplificare la figura di Gesù, oltre quella del semplice Maestro e oltre quella del Messia, di statura semplicemente umana.

Catechesi Paolo VI
27-8-1975

Gesù perciò è sempre e dappertutto presente.

Catechesi Paolo VI
28-9-1977

Morendo infatti si "immerse" nell'amore del Padre ed effuse lo Spirito Santo, affinché i credenti in Lui potessero rinascere da quella sorgente inesauribile di vita nuova ed eterna.

Angelus Benedetto XVI
13-1-2008

Nel nome di Gesù, ha ripetuto il Papa, aggiungendo: « Lui è il Salvatore; questo nome, Gesù.

Quando uno dice Gesù, è proprio lui », cioè colui che fa dei miracoli.

Meditazione Francesco
5-4-2013

Gesù lo si conosce solo nel cammino quotidiano della vita.

Non si può conoscere Gesù - ha ribadito il Pontefice - senza coinvolgersi con lui, senza scommettere la vita per lui.

Meditazione Francesco
26-9-2013

Concilio Ecumenico vaticano II

Dio Padre ha generato il Figlio Ad gentes 2
ha creato e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo Dei verbum 3
  Ad gentes 3
lo mandò nel mondo Sacrosanctum concilium 5
  Sacrosanctum concilium 6
  Sacrosanctum concilium 9
  Lumen gentium 3
  Lumen gentium 8
  Lumen gentium 17
  Unitatis redintegratio 2
  Apostolicam actuositatem 4
  Ad gentes 3
  Presbyterorum ordinis 3
lo santificò e consacrò inviandolo al mondo Lumen gentium 28
  Ad gentes 4
  Presbyterorum ordinis 2
  Presbyterorum ordinis 12
costituendolo principio di salvezza Lumen gentium 17
realizzò il suo piano ( v. ) di salvezza per messo di Cristo Ad gentes 7
il cui mistero è il disegno salvifico di Dio Presbyterorum ordinis 22
Cristo inviato perché spiegasse i segreti di Dio Lumen gentium 3
  Dei verbum 4
Dio manifestò in Cristo Se stesso e le sue vie in modo perfetto Dignitatis humanae 11
parlando per mezzo del Figlio Dei verbum 4
inviato con un corpo simile al nostro Ad gentes 3
Cristo in terra ha fatto la volontà del Padre ( v. ) Presbyterorum ordinis 14
che lo risuscitò da morte, lo esaltò e lo collocò alla sua destra costituendolo giudice dei vivi e dei morti Lumen gentium 36
  Gaudium et spes 45
nel suo Figli il Padre ci ha predestinati alla adozione in figli Lumen gentium 3
Lo Spirito Santo è lo spirito di Cristo Lumen gentium 13
  Unitatis redintegratio 2
  Presbyterorum ordinis 13
  Gaudium et spes 10
  Gaudium et spes 22
Cristo unto di Spirito Santo Sacrosanctum concilium 5
  Presbyterorum ordinis 17
che fu su di Lui Ad gentes 3
  Ad gentes 4
lo Spirito Santo tutti unisce in Cristo Unitatis redintegratio 2
il quale promise Lumen gentium 5
  Unitatis redintegratio 2
ed effuse sui discepoli Lumen gentium 5
  Ad gentes 4
e su tutti lo spirito Santo Lumen gentium 40
  Dei verbum 17
  Gaudium et spes 78
nella Eucaristia la carne di Cristo è vivificata dallo Spirito Santo Presbyterorum ordinis 5
v. Pentecoste; Spirito Santo
Cristo è Dio Nostra aetate 3
  Ad gentes 3
  Gaudium et spes 37
Verbo dell'Eterno Padre Dei verbum 14
Verbo di Eterno Dei verbum 4
Verbo di Dio Gaudium et spes 37
per mezzo del quale tutto è stato creato Gaudium et spes 38
  Gaudium et spes 45
e che prima di farsi carne già era nel mondo come luce Gaudium et spes 57
Figlio di Dio Lumen gentium 15
  Lumen gentium 39
  Lumen gentium 42
  Christus Dominus 1
  Dei verbum 4
  Dei verbum 19
  Ad gentes 2
  Gaudium et spes 41
Figlio diletto Dei verbum 8
Unigenito Unitatis redintegratio 2
  Dignitati Humanae 13
  Presbyterorum ordinis 22
il solo Santo col Padre e con lo Spirito Santo Lumen gentium 39
Il Verbo eterno Figlio di Dio si fece carne Sacrosanctum concilium 5
  Lumen gentium 9
  Unitatis redintegratio 12
  Unitatis redintegratio 15
  Unitatis redintegratio 20
  Dei verbum 2
  Dei verbum 4
  Dei verbum 17
  Dei verbum 18
  Gaudium et spes 41
  Gaudium et spes 45
in un corpo simile al nostro Ad gentes 3
ha unito a Sé la natura umana Lumen gentium 7
assunse le debolezze della natura umana facendosi simile all'uomo Dei verbum 13
Uomo perfetto, in Lui la natura umana è stata assunta senza venire annientata e innalzata a una dignità sublime Gaudium et spes 22
  Gaudium et spes 38
diventata, nella unità della persona del Verbo strumento di salvezza Sacrosanctum concilium 5
che infonde la vita divina nelle membra del Corpo mistico  Presbyterorum ordinis 5
in Lui congiunta all'umanità abita la pienezza della divinità Lumen gentium 7
corporalmente Ad gentes 3
immagine dell'invisibile Dio, sussistente nella natura di Dio Lumen gentium 8
vedendo Lui si vede il Padre Dei verbum 4
il Figlio di Dio ha percorso le vie di una reale incarnazione, assunse la natura umana completa ma senza peccato Lumen gentium 8
  Ad gentes 3
  Ad gentes 4
  Presbyterorum ordinis 3
abitò tra noi pieno di grazia e di verità Dei verbum 17
di santità Lumen gentium 26
  Presbyterorum ordinis 12
uomo anche Lui Ad gentes 7
inviato dal Padre agli uomini Presbyterorum ordinis 3
attraverso la sua incarnazione si legò a un certo ambiente socio-culturale Ad gentes 10
partecipò alla convivenza umana, condusse la vita del suo tempo e della sua regione Gaudium et spes 32
ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo, con l'incarnazione si è unito in certo modo a ogni uomo Lumen gentium 22
nostro Fratello in tutto uguale ai suoi fratelli uomini Lumen gentium 32
  Presbyterorum ordinis 3
  Gaudium et spes 32
preferì essere chiamato Figlio dell'uomo Lumen gentium 5
  Lumen gentium 6
  Dignitati Humanae 11
  Ad gentes 3
Cristo nato secondo la carne da Israele Lumen gentium 16
  Nostra aetate 4
assunse la natura umana da Maria Lumen gentium 55
sua madre Sacrosanctum concilium 103
  Nostra aetate 4
  Ad gentes 4
vergine Lumen gentium 57
I Vangeli principale testimonianza della vita e dottrina di Cristo Dei verbum 18
trasmettono con sincerità e verità quanto Gesù effettivamente operò e insegnò Dei verbum 19
gli altri scritti del N. T. confermano tutto ciò che riguarda Cristo Dei verbum 20
riproducendo la testimonianza apostolica Dei verbum 7
v. Tradizione; Vangeli
Cristo Primogenito fra molti fratelli Lumen gentium 2
  Lumen gentium 63
  Gaudium et spes 22
fra tutti coloro che lo accolgono con fede e carità Gaudium et spes 32
dei redivivi Lumen gentium 7
Cristo uomo nuovo, nuovo Adamo Ad gentes 3
  Presbyterorum ordinis 15
  Gaudium et spes 22
principio ed esemplare dell'umanità nuova Ad gentes 8
in Lui appare l'uomo nuovo e trova la sua perfezione Gravissimum educationis 3
  Ad gentes 9
  Ad gentes 12
  Ad gentes 13
Cristo fu povero Lumen gentium 50
  Perfectae caritatis 1
  Perfectae caritatis 13
  Ad gentes 5
pur essendo ricco, per arricchirci con la sua povertà Ad gentes 3
  Presbyterorum ordinis 17
povero e umile Lumen gentium 41
  Apostolicam actuositatem 4
povero e sofferente Lumen gentium 7
  Lumen gentium 8
  Lumen gentium 11
  Lumen gentium 41
umile e mortificato Unitatis redintegratio 4
Obbediente sempre alla volontà del Padre Lumen gentium 42
  Lumen gentium 46
  Perfectae caritatis 14
fino alla morte e così redense e santificò gli uomini Lumen gentium 3
  Lumen gentium 37
  Perfectae caritatis 1
  Ad gentes 24
vincendo la disobbedienza di Adamo Presbyterorum ordinis 15
Perfetto Servo di Dio Unitatis redintegratio 12
  Perfectae caritatis 14
  Dignitatis humanae 11
prese la natura di un servo annientando se stesso Lumen gentium 8
  Lumen gentium 42
  Presbyterorum ordinis 15
e venne per servire i fratelli Lumen gentium 27
  Lumen gentium 32
  Unitatis redintegratio 7
  Perfectae caritatis 14
  Ad gentes 3
  Gaudium et spes 3
v. Servizio
Lavoratore: le sue mani si esercitarono nel lavoro manuale Lumen gentium 41
  Gaudium et spes 22
fu un artigiano Gaudium et spes 43
del suo tempo Gaudium et spes 32
conferì così al lavoro una elevatissima dignità Gaudium et spes 67
È il Messia ( v. ) Lumen gentium 5
  Lumen gentium 58
non politico e dominatore con la forza Dignitatis huamnae 11
il Salvatore promesso Dei verbum 3
l'Atteso delle Genti Ad gentes 8
il suo avvento fu preparato dall'A. T. Dei verbum 15
È il Salvatore Sacrosanctum concilium 8
  Sacrosanctum concilium 47
  Lumen gentium 15
  Christus Dominus 1
  Nostra aetate 4
  Dei verbum 18
  Dignitatis humanae 10
  Presbyterorum ordinis 9
  Presbyterorum ordinis 18
  Ad gentes 8
  Gaudium et spes 18
  Gaudium et spes 48
  Gaudium et spes 57
  Gaudium et spes 76
il solo Salvatore Lumen gentium 50
  Dignitatis humanae 1
  Ad gentes 7
  Gaudium et spes 10
salvezza di tutti Ad gentes 21
  Gaudium et spes 45
principio di salvezza per il mondo intero Lumen gentium 17
autore della salvezza Lumen gentium 9
  Ad gentes 5
  Ad gentes 9
venuto a salvare e non a condannare Gaudium et spes 3
opera col Padre la salvezza di tutti Lumen gentium 41
v. Salvezza
È il Redentore Sacrosanctum concilium 5
  Lumen gentium 2
  Lumen gentium 25
  Lumen gentium 31
  Lumen gentium 41
  Unitatis redintegratio 2
  Unitatis redintegratio 12
  Gaudium et spes 29
  Gaudium et spes 37
preparato dal Vecchio Testamento Dei verbum 15
mandato dal Padre Ad gentes 13
il solo Redentore Lumen gentium 50
v. Redenzione
Liberatore Ad gentes 8
  Gaudium et spes 13
Mediatore unico tra Dio e gli uomini Sacrosanctum concilium 5
  Sacrosanctum concilium 48
  Lumen gentium 8
  Lumen gentium 28
  Lumen gentium 49
  Lumen gentium 50
  Lumen gentium 60
  Lumen gentium 62
  Unitatis redintegratio 20
  Dei verbum 2
  Ad gentes 7
  Presbyterorum ordinis 2
Mediatore della salvezza Lumen gentium 14
Mediatore autentico Ad gentes 3
eterno Lumen gentium 41
Mediatore della Nuova Alleanza Presbyterorum ordinis 1
in Lui Dio ci ha riconciliati a Se stesso Gaudium et spes 22
Mediatore e pienezza di tutta la rivelazione Dei verbum 2
  Dei verbum 4
  Dei verbum 7
  Gaudium et spes 41
v. Mediazione; Rivelazione
Riconciliatore: Lumen gentium 5
  Noasta aetate 4
  Gaudium et spes 78
Sacerdote Sacrosanctum concilium 7
  Lumen gentium 5
  Optatam totius 4
  Optatam totius 8
  Apostolicam actuositatem 10
  Presbyterorum ordinis 1
  Presbyterorum ordinis 2
  Presbyterorum ordinis 5
  Presbyterorum ordinis 13
  Presbyterorum ordinis 16
  Presbyterorum ordinis 22
Pontefice Lumen gentium 10
  Presbyterorum ordinis 12
Pontefice sommo Lumen gentium 21
sommo ed eterno sacerdote Lumen gentium 28
  Lumen gentium 34
  Lumen gentium 41
assunto di mezzo agli uomini Lumen gentium 10
sacerdote di tutti Lumen gentium 13
unico sacerdote Christus Dominus 28
  Presbyterorum ordinis 7
suo ufficio sacerdotale partecipato Lumen gentium 31
  Lumen gentium 41
  Lumen gentium 62
  Apostolicam actuositatem 2
regale sacerdozio Lumen gentium 26
sacerdozio gerarchico Optatam totius 2
sacerdote universale prefigurato con Melchisedech Presbyterorum ordinis 10
alla destra di Dio Cristo è ministro del Santuario e del vero tabernacolo Sacrosanctum concilium 8
v. Sacerdozio
Agnello pasquale Lumen gentium 3
  Presbyterorum ordinis 5
immacolato Lumen gentium 6
  Gaudium et spes 22
lucerna della Gerusalemme celeste Lumen gentium 51
Vittima divina Lumen gentium 11
  Presbyterorum ordinis 13
immacolata Lumen gentium 28
Ha istituito la Nuova Alleanza Sacrosanctum concilium 83
  Lumen gentium 9
nel suo sangue Dei verbum 16
  Presbyterorum ordinis 4
Profeta: il Grande profeta che ha proclamato il regno del Padre Lumen gentium 35
ufficio e missione profetica di Cristo Lumen gentium 12
  Lumen gentium 31
  Apostolicam actuositatem 2
  Apostolicam actuositatem 10
Cristo venerato come Profeta anche dai Musulmani Nostra aetate 3
Re: Lumen gentium 13
  Apostolicam actuositatem 10
  Presbyterorum ordinis 1
della Chiesa Lumen gentium 5
ufficio regale di cristo Lumen gentium 31
  Apostolicam actuositatem 2
il re servire al quale è regnare Lumen gentium 36
le nazioni assegnate in eredità a Cristo Ad gentes 22
re glorioso Lumen gentium 9
  Lumen gentium 48
al quale è stato dato ogni potere in cielo e in terra Gaudium et spes 38
preminente grandezza delle virtù di Cristo regnate Lumen gentium 44
v. Regno
Cristo nostra pace: Nostra aetate 4
principio di pace Lumen gentium 9
autore e principe della pace Gaudium et spes 77
pacificatore degli Ebrei e dei Gentili Nostra aetate 4
v. Pace
Pastore e Vescovo delle nostre anime Lumen gentium 21
  Lumen gentium 28
  Lumen gentium 41
  Optatam totius 4
  Presbyterorum ordinis 5
  Presbyterorum ordinis 6
  Presbyterorum ordinis 11
  Presbyterorum ordinis 18
Buon Pastore Lumen gentium 27
  Presbyterorum ordinis 13
  Presbyterorum ordinis 14
il solo Pastore Lumen gentium 15
Principe dei Pastori Lumen gentium 6
  Christus Dominus 11
Pastore supremo Presbyterorum ordinis 7
eterno Lumen gentium 18
  Unitatis redintegratio 2
  Christus Dominus 2
Maestro Lumen gentium 13
  Lumen gentium 21
  Lumen gentium 42
  Optatam totius 4
  Dignitatis humanae 9
  Dignitatis humanae 11
  Ad gentes 8
  Ad gentes 14
  Presbyterorum ordinis 1
  Presbyterorum ordinis 13
  Presbyterorum ordinis 17
  Gaudium et spes 10
unico Gravissimum educationis 8
di cui tutti hanno bisogno Ad gentes 8
Maestro e modello divino Lumen gentium 40
  Ad gentes 8
obblighi dei suoi discepoli verso la verità da Lui ricevuta Dignitatis humanae 14
di manifestare il suo spirito Dignitatis humanae 9
Medico della carne e dello spirito Sacrosanctum concilium 5
Luce Lumen gentium 10
vera che illumina tutti gli uomini Lumen gentium 16
  Dei verbum 4
  Gaudium et spes 57
luce del mondo Lumen gentium 3
delle Genti Lumen gentium 1
splende e deve risplendere sempre più chiara sul volto della Chiesa Lumen gentium 1
  Lumen gentium 15
  Gaudium et spes 44
e per mezzo dei membri della Chiesa deve sempre più illuminare la società Lumen gentium 36
Via, verità e vita Nostra aetate 2
Cristo è la via della salvezza Lumen gentium 14
Cristo è la verità Dignitatis humanae 14
la verità e la vita, le sue parole sono parole di vita e Cristo è il Vivificatore Ad gentes 8
la vera vite che dà la vita Lumen gentium 6
principio di vita Lumen gentium 7
  Lumen gentium 17
  Ad gentes 5
  Gaudium et spes 52
la vita nostra Sacrosanctum concilium 8
  Lumen gentium 9
la vita stessa Lumen gentium 56
Cristo ha aperto la strada sulla quale vita e morte acquistano nuovo significato Gaudium et spes 22
Signore: Lumen gentium 10
  Lumen gentium 42
  Lumen gentium 50
  Unitatis redintegratio 12
  Unitatis redintegratio 20
  Christus Dominus 1
  Dei verbum 20
  Ad gentes 24
  Gaudium et spes 10
  Gaudium et spes 13
  Gaudium et spes 22
  Gaudium et spes 38
  Gaudium et spes 43
  Presbytrorum ordinis 3
  Presbytrorum ordinis 5
di tutte le cose Lumen gentium 32
Signore e scrutatore dei secoli Ad gentes 1
apparve come Sacerdote dopo la sua risurrezione Lumen gentium 5
a Lui Dio ha conferito il dominio su tute le cose Lumen gentium 13
regna glorioso in cielo Sacrosanctum concilium 8
  Lumen gentium 9
  Lumen gentium 36
la confessione di Cristo come Signore fu lo scopo dell'azione apostolica Dei verbum 17
  Dignitatis humanae 11
è lo scopo dell'azione missionaria Ad gentes 6
  Ad gentes 24
Cristo e la Chiesa nel disegno del Padre Lumen gentium 5
la Chiesa stabilita da Dio per mezzo di Cristo Lumen gentium 9
come necessaria Ad gentes 7
la Chiesa edificata da Cristo Lumen gentium 18
fondata Inter mirifica 3
  Lumen gentium 8
  Lumen gentium 9
  Gravissimum educationis 1
  Ad gentes 1
  Gaudium et spes 40
dal suo amore Gaudium et spes 76
sacramento di salvezza Ad gentes 5
il regno di Dio manifestato nella parola, nelle opere e nella presenza di Cristo Lumen gentium 5
  Lumen gentium 6
la Chiesa regno di Cristo Lumen gentium 3
  Lumen gentium 44
la Chiesa Corpo di Cristo Lumen gentium 7
  Christus Dominus 1
  Apostolicam actuositatem 2
  Ad gentes 5
  Ad gentes 7
nel quale Cristo è presente Lumen gentium 14
la missione di cristo è la missione della Chiesa sviluppata nei secoli Lumen gentium 8
  Ad gentes 5
  Gaudium et spes 42
la Chiesa dà la possibilità di partecipare in pieno al mistero di Cristo Ad gentes 5
nella Chiesa Cristo opera la salvezza Lumen gentium 54
la luce di cristo risplende sul volto della Chiesa Lumen gentium 1
che ha il compito di rendere quasi visibile Cristo Gaudium et spes 21
per mezzo della Chiesa Cristo realizza incessantemente la volontà del Padre nel mondo Presbyterorum ordinis 14
i figli di Dio sono congiunti con Cristo nella Chiesa Lumen gentium 48
la struttura visibile della Chiesa è segno della sua unità in Cristo Gaudium et spes 44
principio dell'unità della Chiesa Unitatis redintegratio 2
Cristo porta unica e necessaria della Chiesa ovile, vera vite della Chiesa, vigna Lumen gentium 6
la Chiesa deve seguire lo stesso metodo seguito da Cristo nell'inserirsi nell'umanità Ad gentes 10
Cristo e la Chiesa superano i particolarismi Ad gentes 8
Cristo costituì la Chiesa in modo che il Popolo di Dio avesse sempre i suoi sacerdoti Presbyterorum ordinis 11
Cristo Capo del suo Corpo mistico che è la Chiesa Sacrosanctum concilium 7
  Lumen gentium 7
  Lumen gentium 28
  Lumen gentium 30
  Lumen gentium 33
  Lumen gentium 52
  Lumen gentium 53
  Presbyterorum ordinis 6
del popolo messianico Lumen gentium 9
del nuovo e universale Popolo di Dio Lumen gentium 13
fonte e Capo dal quale promana ogni grazia e la vita stessa del Popolo di Dio Lumen gentium 50
Capo della umanità nuova Ad gentes 3
v. Corpo mistico
Cristo Sposo della Chiesa: Sacrosanctum concilium 48
  Sacrosanctum concilium 84
  Sacrosanctum concilium 85
  Sacrosanctum concilium 102
  Lumen gentium 6
acquistata col sangue Lumen gentium 9
amata Sacrosanctum concilium 7
  Lumen gentium 7
come Se stesso e per lei diede Se stesso Lumen gentium 39
  Lumen gentium 41
patto d'amore tra Cristo e la Chiesa Lumen gentium 48
mistero di unità e di fecondo amore tra Cristo sposo e la Chiesa sposa Lumen gentium 11
  Lumen gentium 41
  Lumen gentium 44
  Optatam totius 10
  Gaudium et spes 48
la Chiesa sposa sempre fedele Gaudium et spes 43
a Cristo suo unico Sposo Perfectae caritatis 12
  Presbyterorum ordinis 16
Cristo pietra angolare della Chiesa edificio Lumen gentium 6
  Lumen gentium 19
  Unitatis redintegratio 2
  Unitatis redintegratio 18
  Ad gentes 9
Cristo centro e ricapitolazione di tutto e di tutti: il Padre volle in Cristo accentrare tutte le cose Lumen gentium 3
ricapitolare in Lui tutto il mondo per farne una creazione nuova ( v. ) Apostolicam actuositatem 5
unificare il Cristo tutte le cose naturali e soprannaturali Apostolicam actuositatem 7
per tutto in Lui riunire Ad gentes 3
tutte le cose sussistono in Lui e per Lui, in tutto ha il primato Lumen gentium 7
  Lumen gentium 66
da Lui veniamo, per Lui viviamo, a Lui siamo diretti Lumen gentium 3
Cristo centro di tutto Lumen gentium 17
in Lui risiede tutta la pienezza Lumen gentium 66
tutti siamo « uno » in Cristo Lumen gentium 32
  Unitatis redintegratio 2
  Nostra aetate 4
  Gaudium et spes 78
Cristo Alfa e Omega, ricapitolazione universale, punto focale e centro della storia umana Gaudium et spes 45
chiave, centro e fine dell'uomo e di tutta la sua storia Gaudium et spes 10
ha assunto e ricapitolato in Sé la storia umana Gaudium et spes 38
venne nel mondo per ricapitolare tutto in Se stesso Gaudium et spes 57
tutto deve essere instaurato in Cristo Gravissimum educationis intr
ricapitolato in Lui Gaudium et spes 1
e gli uomini devono costituire in Lui una sola famiglia Ad gentes 1
Ritorno glorioso di Cristo alla fine dei tempi per la restaurazione, il rinnovamento e la gloria universale Sacrosanctum concilium 8
  Sacrosanctum concilium 102
  Lumen gentium 6
  Lumen gentium 9
  Lumen gentium 28
  Lumen gentium 35
  Lumen gentium 49
  Lumen gentium 51
  Dei verbum 4
  Ad gentes 1
  Ad gentes 9
  Presbyterorum ordinis 2
  Gaudium et spes 32
v. Parusia
Maria nel mistero di Cristo: già nell'A. T. Lumen gentium 55
nell'incarnazione Lumen gentium 52
la maternità divina Lumen gentium 53
Maria consacrata alla persona e all'opera di Cristo Lumen gentium 56
Maria nella vita di Cristo Lumen gentium 57
conformata a suo Figlio Lumen gentium 58
funzione materna di Maria e mediazione di Cristo Lumen gentium 60
  Lumen gentium 61
  Lumen gentium 62
culto di Maria e culto di cristo Lumen gentium 66
gli uffici e i privilegi di Maria hanno sempre per fine Cristo Lumen gentium 67
v. Maria
Cristo nella Liturgia: il mistero di Cristo manifestato dai fedeli nella partecipazione alla Liturgia Sacrosanctum concilium 2
presenza e mediazione di cristo nella Liturgia Sacrosanctum concilium 7
  Sacrosanctum concilium 35
  Presbyterorum ordinis 5
in essa Cristo annunzia ancora il suo Vangelo Sacrosanctum concilium 33
l'Ufficio divino continua l'ufficio sacerdotale di Cristo Sacrosanctum concilium 83
è la preghiera di Cristo unito al suo Corpo Sacrosanctum concilium 84
il mistero di Cristo nell'anno liturgico Sacrosanctum concilium 102
  Sacrosanctum concilium 103
v. Liturgia; Messa; Ufficio divino
I fratelli separati: Cristo ha pregato per l'unità dei cristiani Unitatis redintegratio 8
i fratelli separati confessano Cristo come Dio e Signore, ma con non lievi discordanze nei confronti della dottrina cattolica Unitatis redintegratio 20
il battesimo debitamente conferito e ricevuto dai fratelli separati incorpora a Cristo, la venuta gloriosa di Cristo aspettata dai fratelli separati Unitatis redintegratio 22
la fede in Cristo sorgente della vita cristiana dei fratelli separati e inizio del dialogo ecumenico Unitatis redintegratio 23
la cooperazione di tutti i cristiani pone in luce il volto di Cristo Servo Unitatis redintegratio 12
I Musulmani non riconoscono Gesù come Dio, ma lo venerano come profeta Nostra aetate 3
v. Alleanza; Ascensione; Beatitudini; Carità; Chiesa; Costato di Gesù; Croce; Esempio di Cristo; Eucaristia; Miracoli; Morte di Cristo; Pasqua; Passione; Piano divino; Risurrezione; Satana
NB: tutti gli argomenti che lo comportano è sempre rilevato il riferimento a Gesù Cristo

Catechismo della Chiesa Cattolica

Comp. 9; 10; 22; 45; 46; 57; 79; 80; 81-84; 85-95; 98-100; 101-111; 112-124; 125-131; 132-135; 143; 144; 146; 148; 149; 150; 154; 155; 156-158; 171-172; 173; 175; 179; 189-191; 204; 206; 224; 255; 262; 263; 265; 338; 340; 341; 342; 352; 360; 434-435; 450; 541-542; 543-544; 578; 580; 582
v. Cristo; Figlio di Dio; Messia

Summa Teologica

Nome di ... III, q. 37, a. 2